“E’ il caso di osservare, parenteticamente, che è mancata nella letteratura marxista una attenzione adeguata al rapporto Marx-Robespierre e all’influenza che le correnti montagnarda, hebertista, sanculotta e babuvista hanno esercitato sulla formazione del pensiero politico di Marx. E ciò è accaduto nonostante il vivo interesse per la rivoluzione francese e per la storia della Francia pre e postrivoluzionaria mostrato dal giovane Marx e ampiamente documentato dall’epistolario e dai quaderni di appunti redatti durante il soggiorno a Kreuznach, che segnalano le sue ampie letture sull’argomento: verso la fine del 1843 Marx si accinge addirittura a comporre una storia della Convenzione. E ciò è accaduto nonostante che Marx sia stato sicuramente in contatto, durante il soggiorno parigino, con storici e uomini politici come Laponneraye, Tissot, Blanc, Esquiros che accoglievano largamente nelle loro elaborazioni teoriche motivi giacobini, robespierristi, babuvisti. (…) A cominciare dall’ultimo saggio su ‘Le lotte di classe in Francia’, scritto da Marx in collaborazione con Engels tra l’estate e l’autunno 1850, Marx sembra superare la posizione blanquista. Già nel settembre dello stesso anno interviene una completa rottura con i blanquisti della Società universale dei comunisti rivoluzionari, anche se i rapporti personali con Blanqui restano buoni. Il posto della dottrina blanquista della “rivoluzione permanente” viene occupato in un primo tempo dalla teoria “catastrofica” di prevalente elaborazione engelsiana, che stabilisce una concomitanza obbligata fra la crisi economica del capitalismo, di cui si prevede prossima la fine, e la ripresa dell’iniziativa rivoluzionaria del proletariato. In una terza ed ultima fase – come ha ben visto per primo Karl Korsch (1) – si afferma la teoria matura del conflitto fra forze produttive e rapporti di produzione come elemento obiettivo del quadro rivoluzionario (K. Marx F. Engels, Opere Complete, v, X, p. 522). La polemica nei confronti delle posizioni blanquiste è esplicita e dura: “Mentre noi diciamo agli operai: Voi dovete attraversare 15, 20, 50 anni di guerre civili e di lotte popolari non soltanto per cambiare la situazione, ma anche per cambiare voi stessi e per rendervi capaci del dominio politico, voi dite invece: Noi dobbiamo giungere subito al potere, oppure possiamo andare a dormire! Mentre noi richiamiamo in particolare gli operai tedeschi sul fatto che il proletariato tedesco non è ancora sviluppato, voi adulate nel modo più goffo il sentimento nazionale e i pregiudizi di casta dell’artigiano tedesco, cosa che comunque dà più popolarità. Come i democratici hanno fatto della parola ‘popolo’ qualcosa di sacro, così voi avete fatto della parola ‘proletariato'” (cfr. F. Mehring, Karl Marx. Geschichte seines Lebens, trad. it. Roma, 1972, p. 204). Verso il 1870 la concezione marxiana della strategia rivoluzionaria del proletariato si presenta ormai come direttamente opposta a quella blanquista e si caratterizza per il rifiuto più netto dell’eredità cospirativa delle sètte, contro i “fabbricanti di rivoluzioni”, e per la proposta di una linea organizzativa e proselitistica di massa, che coinvolga l’intera classe operaia del continente” (1) Per la periodizzazione della teoria marxiana della rivoluzione proletaria si veda: F. Engels, Introduzione a ‘Le lotte di classe in Francia’, in K. Marx e F. Engels, Opere complete, v. X, pp. 641-660; D. Riazanov, Marx ed Engels, Roma, 1969, pp. 70-80; K. Korsch, Karl Marx, Frankfurt-Wien, 1967, trad. it. Bari, 1969 pp. 213-15; G. Vacca, Scienza, Stato e critica di classe, Bari, 1970, pp. 157-188) [Danilo ZOLO ‘Origine e sviluppo della nozione marxiana di “dittatura del proletariato”‘] (pag 198-199) [in ‘Dittatura degli antichi e dittatura dei moderni’, a cura di Giovanni Meloni, 1983]