“Né è pensabile che le mutazioni che avvenivano nel campo scientifico-naturale fossero escluse da Marx e da Engels per quello storico ed economico. Non vi è alcuna testimonianza che essi ritenessero di aver raggiunto in questo settore un sapere assolutamente definitivo, aumentabile solo in modo estensivo. Si possono, invece, trovare chiare testimonianze in contrario, come quella di Engels secondo cui, posto che il pensiero umano “esiste solo come pensiero singolo di molti miliardi di uomini, passati, presenti e futuri”, “il risultato più valido dovrebbe essere quello di renderci estremamente diffidenti verso ciò che attualmente conosciamo”, perché “le generazioni che ci correggeranno saranno probabilmente molto più numerose di quelle, la cui conoscenza noi (…) siamo in grado di correggere” e “la conoscenza, che ha incondizionata pretesa di verità, si realizza in una serie di relativi errori” (F. Engels, Antidühring). (…) E’ vero che nelle conquiste tecnico-scientifiche Marx vedeva un fattore imprescindibile per la futura società comunista, nella misura in cui questa, per attuarsi, ha bisogno di un certo grado di liberazione dal “regno della necessità”. In questo senso per Marx “la scienza era una forza motrice della storia, una forza rivoluzionaria. Per quanto grande fosse la gioia che gli dava ogni scoperta in qualsivoglia disciplina teorica, e di cui non vedeva forse l’applicazione pratica, una gioia ben diversa gli dava ogni innovazione che determinasse un cambiamento rivoluzionario immediato nell’industria e, in generale, nello sviluppo storico. Così egli seguiva in tutti i particolari le scoperte nel campo dell’elettricità…” (F. Engels, in AA.VV., ‘Ricordi su Marx’)” [A. Guerraggio F. Vidoni, Nel laboratorio di Marx: scienze naturali e matematica, 1982]