“L’esposizione degli avvenimenti può dunque a volte precedere, a volte seguire la loro spiegazione; talvolta l’avvenimento può spingere a insistere sulla congiuntura piuttosto che sulla struttura, oppure il contrario. In tal modo, come ha osservato Schumpeter, la storia di Marx non separa né mescola il momento economico, quello sociale, quello politico e il puro accadimento, ma li combina insieme. Per di più questa “storia ragionata”, per lo spontaneo scaturire degli argomenti, per l’alacrità e l’ironia del racconto, è una storia viva. Ma è anche una storia militante. E al tempo stesso, direttamente o per allusioni, è una storia di attualità. In questo si colloca all’opposto della storia positivistica, che pretende di essere obiettiva e richiede un distacco temporale, salvo poi ridurre la storia a mera curiosità verso il passato, deliberatamente “in-significante”. Ogni racconto di avvenimenti, ogni analisi di cause, per le sue inevitabili scelte, copre un’ideologia, poco nociva quando è dichiarata, pericolosa quando è nascosta. E per quel che riguarda gli avvenimenti contemporanei, non vi è ragione perché la storia ne tralasci l’analisi, quando pullulano tante “politologie” e “sociologie”, ma mi permetto di ripetere che, nella storia contemporanea, è disonesto volersi dichiarare obiettivi, quando ci si sa partigiani, ed è sciocco credersi obiettivi, quando si è partigiani (e chi non lo è?). Sia Marx che Engels, come pure i loro grandi discepoli, dichiarano apertamente la loro scelta politica e intendono servirla con le loro opere; sono però convinti che il modo migliore per giungere a questo sia un’analisi corretta, capace di dare una sufficiente intelligibilità agli avvenimenti, se non una scienza della materia storica, di cui ci hanno offerto i principi, e non ovviamente un apparato operativo buono a tutti gli usi. Non sarà superfluo riflettere brevemente sul problema del modello marxista proposto agli studiosi di storia, perché molti marxisti tendono a ridurre questo modello al ’18 brumaio’, e gli antimarxisti affettano di disprezzare proprio questo genere di scritti, qualificati nel migliore dei casi come “giornalistici”. In realtà, si tratta proprio di giornalismo, nel senso migliore del termine. E ciò comporta senza dubbio alcuni limiti, di cui Engels stesso per primo ci avverte: “Se dunque cerchiamo di esporre ai lettori della “Tribune” le cause che, mentre hanno reso inevitabile la rivoluzione tedesca del 1848, hanno condotto in modo altrettanto inevitabile alla sua temporanea repressione nel 1849 e nel 1850, non si attenderà da noi che diamo una storia completa degli avvenimenti che si sono svolti in questo paese. Gli avvenimenti ulteriori e il giudizio delle generazioni future decideranno quale parte di questa massa confusa di fatti apparentemente accidentali, incoerenti e incongrui, deve appartenere alla storia mondiale. Non è ancora arrivato il momento di accingersi a un compito simile; noi dobbiamo mantenerci entro i limiti del possibile, e ritenerci soddisfatti se riusciamo a scoprire le cause razionali, basate su fatti indiscutibili, per spiegare gli avvenimenti essenziali, le vicende principali di quel movimento, e per avere una chiave che ci spieghi la direzione che la esplosione prossima e forse non molto lontana imprimerà al popolo tedesco” (3). La modestia di queste parole è pari alla precisione del vocabolario” [Pierre Vilar, Marx e la storia] [(in ‘Storia del marxismo’, Torino, 1978] [(3) ‘Rivoluzione e controrivoluzione in Germania’, in K. Marx e F. Engels, Il 1848 in Germania e in Francia, Roma, 1948, p. 13]