“Con questo ritengo di essermi messo in condizione di precisare in quale accezione del termine «rappresentanza» si dice che un sistema è rappresentativo e si parla abitualmente di democrazia rappresentativa: le democrazie rappresentative che noi conosciamo sono democrazie in cui per rappresentante s’intende una persona che ha queste due caratteristiche ben precise: a) in quanto gode della fiducia del corpo elettorale, una volta eletto non è più responsabile di fronte ai propri elettori e quindi non è revocabile; b) non è responsabile direttamente di fronte ai suoi elettori appunto perché egli è chiamato a tutelare gli interessi generali della società civile e non gl’interessi particolari di questa o quella categoria. Nelle elezioni politiche, in cui funziona il sistema rappresentativo, un operaio comunista non vota l’operaio non comunista ma vota un comunista anche se non è operaio. Il che vuol dire che la solidarietà di partito e quindi la visione degli interessi generali è più forte della solidarietà di categoria e quindi della considerazione degl’interessi particolari. Una conseguenza del sistema è che, come ho detto poc’anzi, i rappresentanti, in quanto non sono rappresentanti di categoria, ma sono per così dire i rappresentanti degl’interessa generali, hanno finito per costituire una categoria a se stante che è quella dei politici di professione, cioè di coloro, che per esprimermi con la definizione efficacissima di Max Weber, non vivono soltanto ‘per’ la politica ma vivono ‘di’ politica. Ho insistito su queste due caratteristiche della rappresentanza di un sistema rappresentativo perché è in genere proprio su queste due caratteristiche che si appunta la critica della democrazia rappresentativa in nome di una democrazia più larga, più completa, insomma più democratica. Nella polemica contro la democrazia rappresentativa infatti si possono distinguere nettamente due filoni prevalenti: la critica al divieto del mandato imperativo e quindi alla rappresentanza concepita come rapporto fiduciario in nome di un vincolo più stretto fra rappresentante e rappresentato, analogo a quello che lega il mandante e il mandatario nel rapporto di diritto privato, e la critica alla rappresentanza degl’interessi generali in nome della rappresentanza organica o funzionale degl’interessi particolari di questa o quella categoria. Chi conosce un po’ la storia della disputa ormai secolare pro e contro il sistema rappresentativo sa benissimo che gira e rigira i temi in discussione sono soprattutto questi due. Sono entrambi temi che appartengono alla tradizione del pensiero socialista in opposizione alla democrazia rappresentativa considerata come l’ideologia propria della borghesia più avanzata, come l’ideologia «borghese» della democrazia. Due temi, il primo, cioè la richiesta della revoca del mandato da parte degli elettori sulla base della critica al divieto di mandato imperativo, è proprio del pensiero politico marxistico: come tutti sanno fu lo stesso Marx che volle dare particolare rilievo al fatto che, nella Comune di Parigi, questa «fu composta da consiglieri municipali eletti a suffragio universale nei diversi mandamenti di Parigi, responsabili e revocabili in qualunque momento» (6). Il principio fu ripreso e ribadito più volte da Lenin, a cominciare da ‘Stato e Rivoluzione’, ed è trapassato come principio normativo nelle varie costituzioni sovietiche” (pag 40-42) [Norberto Bobbio, ‘Il futuro della democrazia’, Einaudi, Torino, 1991] [(6) K. Marx, ‘La guerra civile in Francia’, in ‘Il partito e l’internazionale’, Edizioni Rinascita, Roma, 1948, p. 178]