“Sul tema specifico dell’imperialismo, Il testo fondante e nodale della discussione posteriore fu quello del liberale John Atkinson Hobson, da Lenin tanto apprezzato, che sancì un’interpretazione soggettiva soltanto percepita e intuita in precedenza. (…). Notoriamente, molte furono le concettualizzazioni. Due fra le più importanti provennero dalla sinistra del socialismo, da Rosa Luxemburg e da Lenin. La teoria del ‘sottoconsumo’ (derivata dall’anticapitalismo di Sismondi e poi reinterpretata da Hobson), riletta da Rosa Luxemburg qualche anno più tardi (49) (1913), vedeva da un lato crescere l’«internazionalità» delle classi borghesi e da un altro riteneva inevitabile l’esistenza di salariati in condizioni miserevoli o addirittura di sottoproletariato, indispensabili per le leggi oggettive dell’accumulazione capitalistica: per cui le classi dei lavoratori, e ancor più i ceti agricoli e sottoproletari coloniali, dovevano essere tenuti a bassi livelli di capacità di acquisto, perché tutto il prodotto e i profitti potessero essere reinvestiti nella produzione corrente. Vale a dire: accanto al capitalismo sviluppato, affinché questo non si incagliasse e non si bloccasse, dovevano esistere formazioni economiche non capitalistiche. In epoche lontane queste avevano coinciso con il mondo rurale; in periodi di sviluppo intenso, quando agli insufficienti mercati interni si erano vieppiù sostituiti i mercati mondiali, lo sbocco necessario diventava la conquista delle colonie; in seguito, proprio perché le grandi potenze svolgevano un’azione di controllo globale e tendenzialmente conflittuale, si manifestavano i fenomeni dell’imperialismo, cioè del buon esito politico ed economico attraverso la forza e l’espansione territoriale, ma anche tramite l’influenza, la vitalità finanziaria, la conquista e la subordinazione dei mercati «deboli», con i popoli contadini trattenuti lontano dallo sviluppo (50). La teoria, accolta per molti decenni, ma poi superata negli anni ’60 del Novecento dalla concezione di Baran e Sweezy del «capitalismo monopolistico» (51), fu in realtà quella di Lenin, a sua volta fondata polemicamente sulle interpretazioni antecedenti e in specie sulle ricerche di Hilferding e Bucharin (52). Il ragionamento di Lenin poggiava sulla caduta tendenziale del saggio di profitto, con la «finanza monopolistica» che, nelle situazioni più avanzate del capitalismo (la «fase suprema»), era portata necessariamente a depredare il mercato mondiale aprendo un conflitto con diverse entità finanziarie aventi analoghi obiettivi, tendendo ad attenuarsi o a sparire i profitti ottenuti sui mercati interni a causa della concorrenza. Si trattava, secondo Lenin, della fase più avanzata del capitalismo che si poneva fini e sbocchi – si sarebbe poi detto negli ultimi lustri del XX secolo – di globalizzazione, con il capitale finanziario che, accompagnato anche dalla forza fisica e dalla sopraffazione, sostituiva l’antico capitalismo commerciale e imprenditoriale e si impegnava senza sosta, fino a tramutarsi in «capitalismo morente» (così Franz Mehring nel 1900, con le parole riprese poi da Lenin) (53). In effetti, l’attenta considerazione di Lenin, seppure con modifiche e aggiustamenti, poté venir trasferita alle valutazioni sul neocolonialismo, che nella seconda metà del Novecento vide nascere Stati e governi formalmente indipendenti ma di fatto senza autonomia economica e anche sul piano politico subalterni agli Stati di antica «civiltà» coloniale e imperialista. A prescindere dalla fallacia che poterono avere gli studi economici di Lenin, in ogni caso ebbe un senso preciso la sua asserzione sul colonialismo-imperialismo (in un’epoca in cui la ‘ferrovia’ sembrava giocare il ruolo trainante dell’economia globale), che superava di fatto il dibattito secondo-internazionalista, peraltro già fallito proprio di fronte all’esplosione del conflitto mondiale nell’agosto 1914 (54): «La costruzione delle ferrovie sembra un’impresa semplice, naturale e democratica, apportatrice di civiltà e di progresso: tale appare infatti agli occhi dei professori borghesi, stipendiati per imbellettare la schiavitù capitalistica, e agli occhi dei filistei piccolo borghesi. Nella realtà i fili capitalistici che collegano queste imprese, per infinite reti, alla proprietà privata dei mezzi di produzione in generale, hanno trasformato la costruzione delle linee ferroviarie in strumento di oppressione di ‘un miliardo’ di uomini nei paesi asserviti (tutte le colonie, più le ‘semicolonie’), cioè più della metà degli abitanti del globo terrestre e degli schiavi del capitale nei paesi «civili». – La proprietà privata, basata sul lavoro del piccolo proprietario, la libera concorrenza, la democrazia: tutte parole d’ordine, insomma, che i capitalisti e la loro stampa usano per ingannare gli operai e i contadini, sono cose del passato. Il capitalismo si è trasformato in sistema mondiale di oppressione coloniale e di iugulamento finanziario della maggioranza della popolazione del mondo da parte di un pugno di paesi «progrediti». E la spartizione del «bottino» ha luogo fra due o tre predoni (Inghilterra America, Giappone) di potenza mondiale, armati da capo a piedi, che coinvolgono nella ‘loro’ guerra, per la spartizione del ‘loro’ bottino, il mondo intero». A queste argomentazioni Kautsky contrappose quelle cosiddette dell’ ‘ultraimperialismo’ (o ‘superimperialismo’): egli ammetteva la politica di spoliazione posta in essere dal capitalismo nelle sue forme più avanzate nei confronti delle colonie, ma riteneva che lo stesso capitalismo potesse conoscere una fase di esasperazione dell’imperialismo che avrebbe condotto – come le guerre dimostravano – a ulteriori incompatibilità, sanabili solo dal socialismo nelle sue vesti abituali e col richiamo all’ortodossia marxista, aperta però a tutte le più ampie alleanze con la democrazia e con il fronte internazionale del pacifismo. L’imperialismo rappresentava una minaccia reale, grazie al capitale finanziario che lo sosteneva; ma una parte del capitalismo, quella più dinamica e avanzata, mirava a un’espansione pacifica, frutto del libero mercato: in fin dei conti, l’imperialismo non costituiva l’ ‘unico’ modo di presentarsi del capitalismo. Compito del socialismo – ritenne Kautsky, contestato sia da Rosa Luxemburg sia da Lenin – diventava allora assecondare le tendenze più liberali del sistema presente, borghese, e operare nello stesso tempo per la pace e il disarmo (55). Nonostante gli interventi evocati, la visione dell’imperialismo rimase lacunosa nel dibattito internazionalista, specie fra quanti si riconobbero nel marxismo” (pag 79-83) [saggio di G.M. Bravo: ‘L’internazionalismo proletario e socialista fra Otto e Novecento. L’Europa, modello di «civilizzazione» o «metropoli colonialista»? (pag 55-88) (in) ‘Idee d’Europa. Atti del convegno di studi, San Marino, 9-10 giugno 2006’, Aiep Editore, San Marino, 2007, a cura di Pauo Butti de Lima] [Note: (49) Rosa Luxemburg, ‘L’accumulazione del capitale. Contributo alla spiegazione economica dell’imperialismo’ (1913), con introduzione di Paul M. Sweezy, Einaudi, Torino, 1980; (50) R. Monteleone, ‘Teorie sull’imperialismo’, Editori Riuniti, Roma, 1974; Wolfgang J. Mommsen, ‘L’età dell’imperialismo’, 1885-1918′, Feltrinelli, Milano, 1970; Id. Imperialismus Theorie’, Vandenhoec & Ruprecht, Göttingen, 1977; (51) Paul A. Baran P.M. Sweezy, ‘Il capitale monopolistico (1966), Einaudi, Torino, 1978; (52) Vladimir I. Lenin, ‘L’imperialismo fase suprema del capitalismo’ (1917), in Lenin, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma, 1965, passim (ora nell’edizione a sé, La Città del Sole, Napoli, 2001). Oltre al testo cit. di Hilferding (nota 46), cfr. Nikolaj I. Bucharin, ‘L’economia mondiale e l’imperialismo’ (1915), con introduzione di Paolo Santi, Samonà e Savelli, Roma, 1966; (53) Cfr. F. Andreucci, ‘La questione coloniale e l’imperialismo’ cit., (nota 22), p. 883; (54) Lenin, ‘L’imperialismo’, cit., (nota 52), p. 572; (55) K. Kautsky, L’imperialismo (1914), a cura di Luca Meldolesi, Laterza, Bari, 1980. Cfr. M.L. Salvadori, ‘Kautsky fra ortodossia e revisionismo’, in ‘Storia del marxismo’, cit., (nota 17), vol. II, pp. 279-314; Marek Waldenberg, ‘Il papa rosso. Karl Kautsky, Editori Riuniti, Roma, 1980, passim]