“Una delle due biografie di cui intendo parlare, è stata pubblicata da Endre Kovács nel 1976: la sua importanza deriva dal fatto che vi si prende posizione su alcuni dei principali problemi della storia della rivoluzione (12). Il mazzinianesimo, sostiene l’autore, è più di una particolare forma della lotta contro il sistema della Santa Alleanza. Esso è anche una filosofia idealistica e mistica; è la dottrina della rivoluzione, nel senso ottocentesco della parola: la rivoluzione in nome della nazione, la distruzione del sistema assolutistico, il programma di una nuova società basata sulla solidarietà dei popoli (13). Il saggio descrive la personalità del rivoluzionario in modo molto plastico: la sua ottica però condizionata da una sorta di teleologia marxista, in base alla quale la tesi interpretativa che emerge si fonda sulla deplorazione dei limiti di classe che avrebbero impedito a Mazzini di diventare un vero rivoluzionario. Il limite principale di Mazzini fu dovuto al fatto «che un entusiasmo ingenuo ha penetrato il suo pensiero, senza che questo entusiasmo si modificasse dopo la rivoluzione. Mazzini non ha basato la propria argomentazione sull’esistenza delle classi sociali, sui loro interessi specifici e sulla lotta fra le classi (14). Secondo l’autore, egli intese e comprese l’esistenza delle classi sociali, ma l’idea dell’unità nazionale ostacolò lo sviluppo del suo programma. Per lui, il socialismo e il comunismo erano equivalenti dell’anarchia, e per questo aveva paura delle loro idee: «di conseguenza è rimasto fermo all’idea nazionale e non ha voluto superarla». A questa dottrina Marx oppose la propria critica inoppugnabile: dall’analisi della situazione economica europea dopo il ’48 seppe risalire alle cause economiche e sociali che avevano provocato la rivoluzione e le individuò con precisione: «È veramente sorprendente – conclude Kovács – che i rivoluzionari piccolo borghesi, soprattutto Mazzini, non riuscissero ad afferrare una così evidente verità» (15). Il saggio intende dimostrare chiaramente come il Mazzini non sia mai venuto meno alle proprie concezioni, incapace com’era di comprendere l’interpretazione materialistica della storia e le ragioni del socialismo: ancora nel 1871, egli affrontava i grandi problemi della religione, della patria e della proprietà privata nella stessa maniera del 1848 (16). Ciò nondimeno Kovács difende il proprio eroe: benché non fosse un vero rivoluzionario popolare, come Garibaldi, ma solo un patriota borghese, negli ultimi anni Mazzini aveva trovato il modo di stabilire un rapporto con il movimento operaio italiano. “Anche se ha interpretato le idee del movimento operaio italiano nella propria maniera individualistica, è tuttavia evidente come egli provasse un interesse sincero per il destino della parte più povera del popolo italiano. (…) In questo suo atteggiamento, Mazzini ha ricevuto aiuto – tiene a sottolineare l’autore – anche dallo stesso Marx, il quale scrisse in termini molto positivi su questi interessi di Mazzini concernenti le classi inferiori della società italiana” (17)” (pag 223-224) [István G. Tóth, ‘Dall’Ungheria’, (in) Filippo Mazzonis, a cura, ‘L’Italia contemporanea e la storiografia internazionale’, Marsilio, Venezia, 1995] [E. Kovács, ‘Giuseppe Mazzini’, in Id., ‘Tõrténelmi arképek’ (Ritratti storici), Budapest, 1976; (13) (14) (14) (16) (17) Ibid., rispettivamente p. 11, 42, 43, 62, 66]