“Giusti, Maitan, Mandel, tutti rifacentesi ad alcuni passi delle opere di Marx, hanno voluto salvaguardarne la coerenza con le tesi di Trotsky. È stato messo in campo soprattutto il seguente passo di Marx più volte citato e variamente interpretato: «Mentre i piccolo-borghesi democratici vogliono portare al più presto possibile la rivoluzione alla conclusione e realizzando tutt’al più le rivendicazioni di cui sopra, è nostro interesse e nostro compito, rendere permanente la rivoluzione, sino a che tutte le classi più o meno possidenti non siano cacciate dal potere, sino a che il proletariato non abbia conquistato il potere dello Stato, sino a che l’associazione del proletariato non solo in un paese, ma in tutti i paesi dominanti del mondo, si sia sviluppata al punto che venga meno la concorrenza tra i proletari di questi paesi e sino a che almeno le forze produttive decisive non siano tutte nelle mani dei proletari (…). Il loro grido di battaglia deve essere: la rivoluzione in permanenza» (75). Come si vede, il concetto secondo il quale la dittatura del proletariato deve essere rivoluzione in permanenza significa che, come potere politico di transizione, guida, in una continua tensione, la trasformazione della società capitalista in comunista. Si tratta, cioè, del passaggio da una formazione economico-sociale antagonista ad una formazione economico sociale unitaria, attraverso un seguito di riforme incessanti, che colpiscono in modo sempre più ampio e radicale la proprietà privata dei mezzi di produzione e le sovrastrutture sociali, giuridiche e culturali che ne sono l’espressione. Così infatti si legge in un altro passo: «Questo socialismo è la dichiarazione della rivoluzione in permanenza, la dittatura di classe del proletariato, quale punto di passaggio necessario per l’abolizione delle differenze di classe in generale, per l’abolizione di tutti i rapporti di produzione su cui esse riposano, per l’abolizione di tutte le relazioni sociali che corrispondono a questi rapporti di produzione, per il sovvertimento delle idee che germogliano da queste relazioni sociali» (76). Come si legge nelle citazioni sopra riportate, «la rivoluzione in permanenza» di Marx non è che un’espressione e non una teoria, è una locuzione che serve a chiarire esclusivamente un carattere temporaneo e contingente della rivoluzione. La continua tensione cesserà al momento in cui sarà abolita la proprietà privata. «La rivoluzione in permanenza» non è una categoria di fondo del pensiero marxiano, né della sua dimensione rivoluzionaria, ma si inserisce in maniera complementare nel quadro più ampio di tutta la sua problematica. D’altra parte, costituisce un insieme di spunti, per altro quantitativamente assai modesti, che si trovano solo in certi scritti destinati alla polemica o all’azione politica immediata, quale è appunto ‘L’indirizzo del Comitato Centrale della lega dei comunisti’, e di certi scritti storici, quali ‘Le lotte di classe in Francia’ e il ’18 Brumaio’, dove chiaramente, oltretutto, il concetto di rivoluzione permanente non è in alcun modo prioritario, o alternativo nei confronti del resto dell’opera marxiana. Si è anche tentato di far risalire la paternità della teoria a Parvus. Egli, dopo lo scoppio della guerra russo-giapponese del 1904, pubblicò sull’ “Iskra” una serie di saggi su ‘Guerra e rivoluzione’, firmati con lo pseudonimo Molotov (77)” (pag 36-38) [Marisa Forcina, ‘Rivoluzione permanente e populismo. Ipotesi su Trockij’, Messapica, Lecce, 1976] [(75) K. Marx, ‘Indirizzo alla lega dei comunisti’, trad. it., in Marx-Engels, Opere scelte, Roma, 1966, p. 365; (76) Marx-Engels, ‘Le lotte di classe in Francia’, ibidem, p. 463; (77) Cfr J. Deutscher, ‘Il profeta armato, cit., p: 142 e seg. e W. Giusti, ‘Il pensiero di Trockij’, Firenze, 1949, pp. 49-51]
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- Articolo pubblicato:14 Marzo 2025