“Questa sommaria rassegna della sociologia nel periodo weimariano non può concludersi senza quello che è stato probabilmente l’esponente più significativo di quella stagione e che ne esprime con lucidità le grandi aperture ma anche i turbamenti. Karl Mannheim, formatosi a Budapest sua città natale, visse in Germania lungo tutta l’esperienza di Weimar dal 1919 al 1933, dovendo poi emigrare a Londra dove visse fino all’età di 54 anni, due anni meno di Weber. Il pensiero sociologico di Karl Mannheim (18) è impensabile senza il riferimento a Weber anche se il percorso di Mannheim si è sviluppato successivamente, durante l’esilio inglese lungo linee di forte originalità. Egli ci ha lascito un interessante articolo scritto nel 1934, immediatamente dopo esser stato radiato dall’insegnamento all’Università di Francoforte per ragioni razziali, al fine di illustrare al pubblico inglese lo stato della sociologia tedesca (19). In questo saggio afferma che la sociologia tedesca è «il prodotto di una delle più grandi dissoluzioni e riorganizzazioni sociali» e che «il significato della crisi non implica solo disintegrazione, ma anche il tentativo che la società fa per rivedere la sua intera organizzazione». Il nesso stretto ma problematico tra sociologia (come forma di sapere) e società è infatti al centro dei contributi pensati e scritti nel periodo weimariano, cioè i saggi di quella sotto-disciplina che prenderà poi il nome di «sociologia della conoscenza», tra i quali in particolare quello sul pensiero conservatore e ‘Ideologie und Utopie’ (20). Il pensiero conservatore nasce dalla dinamica del cambiamento sociale perché esprime gli orientamenti (gli interessi materiali e ideali, direbbe Weber) di coloro che al cambiamento si oppongono perché da esso hanno tutto da perdere. Sono i difensori dell’ordine costituito. Mentre ad esso, cioè, all’ordine costituito, si oppongono i gruppi (ceti, classi, correnti di pensiero) emergenti, nonché coloro che, come diceva Karl Marx, hanno da perdere solo le loro catene. La tematica ritorna in ‘Ideologie und Utopie’, un’opera che può essere interpretata come un lungo dialogo che l’autore intrattiene contemporaneamente con Marx e Weber, il concetto di ideologia viene certamente da Marx (Weber, se non sbaglio, non nomina mai la parola), ma il problema al quale è applicato è squisitamente weberiano: come garantire l’oggettività possibile della scienza della società senza rimanere vittime del relativismo, una volta tematizzata la ‘Seinsgebundenheit des Denkens’. La soluzione adottata da Mannheim che assegna questo compito all’intellighentia capace potenzialmente di sottrarsi all’influenza della propria posizione sociale era stata anticipata da Alfred Weber, ma è una soluzione che il fratello Max non avrebbe certamente del tutto condiviso (21)” (pag 255-256) [Alessandro Cavalli, ‘L’eredità problematica della sociologia weimariana’ (in) ‘La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità’, a cura di Andreas Cornelissen e Gabriele D’Ottavio, Il Mulino, Bologna, 2021] [(18) D. Kettler C. Loader V. Meja, ‘Karl Mannheim and the Legacy of Max Weber. Retrieving a Research Programme’, London, Routledge, 2008; (19) K. Mannheim, ‘German Sociology 1919-1933’ in ‘Politica’, 1, 1934, pp.12-33 (…); (20) K. Mannheim, Das konservative Denken: soziologische Beiträge zum Werden des politisch-historischen Denkens in Deutschland’, in ‘Archiv für Sozialwissenschatt und Sozialpolitik’, 57, 1927, n. 1 (trad. it. ‘Conservatorismo. Nascita e sviluppo del pensiero conservatore’, Roma, Bari, Laterza, 1989); dello stesso autore ‘Ideologie und Utopie’, Bonn, Cohen, 1929 (trad. it. ‘Ideologia ed utopia’, Bologna, Il Mulino, 1999; (21) Una critica a Mannheim sulla scorta dell’epistemologia weberiana era già stata fatta nel 1934 da A. von Schelting, ‘Max Webers Wissenschaftlehre’, Tübingen, Mohr, 1934]