“Passaggio dalla guerra manovrata (e dall’attacco frontale) alla guerra di posizione anche nel campo politico. Questa mi pare la questione di teoria politica più importante, posta dal periodo del dopoguerra e più difficile a essere risolta giustamente. Essa è legata alle questioni sollevate dal Bronstenin (Trotsky), che, in un modo o nell’altro, può ritenersi il teorico politico dell’attacco frontale in un periodo in cui esso è solo cause di disfatte. Solo indirettamente (mediatamente) questo passaggio nella scienza politica è legato a quello avvenuto nel campo militare, sebbene certamente un legame esista ed essenziale. La guerra di posizione domanda enormi sacrifici a masse sterminate della popolazione; perciò è necessaria una concentrazione inaudita dell’egemonia e quindi una forma di governo più «intervenzionista», che più apertamente prenda l’offensiva contro gli oppositori e organizzi permanentemente l’«impossibilità» di disgregazione interna (…). «Una resistenza che si prolunga troppo in una piazza assediata è demoralizzante di per se stessa. Essa implica sofferenze, fatiche, privazioni di riposo, malattie e la presenza continua non già del pericolo acuto che tempra, ma del pericolo cronico che abbatte» (Carlo Marx, ‘Questione orientale’, articolo del 14 settembre 1855)” (pag 71-72) [Antonio Gramsci, ‘Passato e Presente’, Einaudi, Torino, 1952]
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- Articolo pubblicato:12 Febbraio 2025