“«Questione diciannovesima: Potrà questa rivoluzione verificarsi in un unico, singolo paese? Risposta: No. La grande industria, in quanto ha determinato un mercato mondiale, ha posto tutti i paesi del mondo, ed in ispecie quelli più civilizzati, in tale collegamento tra loro che ogni singolo popolo dipende da ciò che accade in ciascuno degli altri. Inoltre essa ha in modo tale reso affine lo sviluppo sociale in tutti i paesi civilizzati che in tutti questi paesi la borghesia ed il proletariato, sono divenuti le due classi decisive della società e la lotta tra di loro è divenuta la lotta principale del nostro tempo. La rivoluzione comunista non potrà essere pertanto una rivoluzione puramente nazionale, ma diventerà una rivoluzione procedente di per sé e contemporaneamente in tutti i paesi civilizzati, cioè quanto meno in Inghilterra, America, Francia e Germania. Essa si svilupperà in ognuno di questi paesi più o meno rapidamente, a seconda che questo paese possiede un’industria sviluppata, una grande ricchezza, un’importante massa di forze produttive. In conseguenza sarà condotta più lentamente e difficoltosamente in Germania, più rapidamente e facilmente in Inghilterra. Essa eserciterà importanti ripercussioni sui restanti paesi del mondo ed affretterà e trasformerà completamente il loro sviluppo. Essa è una rivoluzione universale e avrà pertanto anche un terreno universale». Anche se non esplicitamente dichiarata, questa esigenza universalistica, super-nazionale, onnipresente della rivoluzione proletaria, permea tutto il «Manifesto» e ne sorregge l’appello finale: «Proletari dei tutto il mondo, unitevi!»” (pag 137-138) [F. Engels, ‘Il catechismo dei comunisti’, a cura di Giuliano Pischel, Gentile editore, Milano, 1945]
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- Articolo pubblicato:14 Gennaio 2025