“In un lungo paragrafo di estrema passione ed eloquenza, Marx valuta le conseguenze storiche che allora incominciavano a essere più chiare, della conquista dell’Asia da parte degli europei: «Per triste che sia dal punto di vista dei sentimenti umani vedere queste miriadi di organizzazioni sociali, patriarcali, inoffensive e laboriose, dissolversi, disgregarsi in elementi costitutivi, essere ridotte alla disperazione e i loro singoli membri perdere al tempo stesso la loro antica forma di civiltà e i loro mezzi tradizionali di sussistenza, non dobbiamo tuttavia dimenticare che queste comunità idilliache malgrado la loro apparenza inoffensiva, sono sempre state una base solida per il dispotismo orientale, che rinchiudeva la ragione umana in un ambito molto ristretto facendone un docile strumento di superstizione, vincolandola alle leggi tradizionali, spogliandola di ogni grandezza e di ogni forza storica. Non dobbiamo dimenticare l’esempio dei barbari che, egoisticamente aggruppati al loro misero pezzetto di terra, osservavano tranquillamente la rovina degli imperi, la perpetrazione di indicibili crudeltà, il massacro della popolazione nelle grandi città, prestando a tutto questo solo l’attenzione che si presta ai fenomeni naturali, anche essi vittime di ogni oppressione che si degnava di notarli» (7). Egli aggiunge ancora che «non dobbiamo dimenticare che queste piccole comunità portavano il marchio infamante delle caste e della schiavitù, che esse sottoponevano l’uomo alle eterne circostanze, che esse conducevano uno stato sociale in via di sviluppo spontaneo verso un destino naturale immutabile» (8). La corrispondenza privata di Marx e il suo intervento come giornalista nel 1853, sono dunque vicini, nello spirito e nel tono, ai temi principali dei commenti europei tradizionali sulla storia e la società asiatica. La continuità affermata fin all’inizio da un riferimento a Bernier, colpisce soprattutto per l’osservazione, più volte ripetuta da Marx, della stagnazione e dell’immutabilità del mondo orientale: «La società indiana – egli scrive – non ha affatto storia, perlomeno non ha una storia conosciuta» (9): qualche anno dopo si riferiva in modo particolare alla Cina che «stava vegetando malgrado lo spirito del tempo» (10). Si può però notare che nella sua corrispondenza con Engels, egli insiste su due punti essenziali che erano stati appena abbozzati nella tradizione precedente. Il primo sosteneva che i lavori pubblici di irrigazione, resi necessari dalla aridità del clima, hanno avuto un ruolo determinante e fondamentale per gli stati dispotici e centralizzati dell’Asia, che detenevano il monopolio della proprietà terriera. Era di fatto una fusione di tre temi che erano stati fino ad allora tenuti distinti – agricoltura irrigata grazie ai grandi lavori idraulici (Smith), determinismo geografico (Montesquieu) e proprietà fondiaria di stato (Bernier). Montesquieu aggiunge un secondo elemento tematico quando chiarisce che le cellule sociali in base cui si sovrapponeva il dispotismo orientale, erano comunità rurali autarchiche che comportavano un’unione di mestieri e di culture locali. Questa concezione come abbiamo già visto, era stata avanzata dalla tradizione precedente (Hegel). Marx trovando le prove nei rapporti dell’amministrazione coloniale britannica in India, le ridà vita con più forza di quanta ne avesse nello schema originale da cui egli l’aveva ereditata. Lo stato idraulico «sopra» e il villaggio autarchico «sotto» sono legati in un’unica formula in cui i due concetti si equilibrano. Quattro o cinque anni dopo, quando Marx stava elaborando i ‘Grundrisse’, fu quest’ultima nozione di «comunità di villaggio autosufficiente» che assunse una funzione nettamente ‘predominante’ nell’analisi di ciò che egli chiama «modo di produzione asiatico». Marx pensava a quel punto che la proprietà fondiaria di stato in Oriente nascondeva una proprietà tribale comunitaria del suolo da parte di villaggi autarchici che erano una realtà socio-economica al di là dell’«unità immaginaria» della appropriazione delle terre da parte del sovrano dispotico” (pag 421-423) [Perry Anderson, ‘Lo Stato assoluto. Origini e evoluzione dell’assolutismo occidentale e orientale’, Mondadori, Milano, 1980] [(7) Marx-Engels,’On Colonialism’, Mosca, 1960, ‘The Future Results of British Rule in India’, articolo del 22 luglio 1853, p. 36; (8) Ibid. p. 37; (9) Ibid. p. 76); (10) Ibid. p. 188]