“Dopo aver teorizzato il proletariato come reale inveramento della negazione, dopo avergli attribuito il compito di riscattare l’intera società negando se stesso come alienato dalla propria umanità, nel ’48 Marx scopre la classe operaia nelle sue determinazioni specifiche, nel suo rapporto diretto col capitale che, prima le si ponga di fronte come l’oggettività morta ed estranea, essa stessa ha ‘costituito’ come modo di produzione e come rapporto sociale. La scoperta di questa determinazione e specificità (che per la prima volta è probabilmente come è noto formulata nella ‘Miseria della filosofia’) è in realtà la chiave delle opere storiche di Marx (mi riferisco alle ‘Lotte di classe in Francia’ e al ’18 brumaio’) che sono in realtà; come Tronti mette in evidenza nelle pagine che vi dedica in «Marx, forza-lavoro, classe operaia» (1), approfondite e ricche ‘analisi di classe’. I loro stessi limiti, non dal punto di vista storiografico ma proprio da quello della teoria delle classi, sono conseguenza diretta e inscindibile di questa scoperta. È nel ’18 Brumaio’ (2) che troviamo quella definizione del sotto-proletariato come putrefazione reazionaria di classi in via di espulsione dal processo produttivo, che ancora pesa sulle analisi in proposito del movimento operaio; qui ancora la banca, il credito e i ceti che si muovono nell’ambito della circolazione del denaro vengono definiti come ceti parassitari (terziari: ‘Lumpenborghesia’, dice Marx) in un’ottica che verrà peraltro superata nei ‘Grundrisse’ per una comprensione della circolazione del denaro come direttamente integrata nel capitale e dei ceti in essa implicati come promotori dello sviluppo. Tali limiti dunque valorizzano proprio la scoperta del moderno proletariato industriale come perno intorno al quale ruota l’intero sviluppo sociale ma che non consente l’identificazione delle proprie richieste di potere con «l’interesse di tutto il popolo» e invece vi si contrappone nella sua irriducibilità (nella sua autonomia) a prezzo di una sconfitta che apre la via al ventennio napoleonico del II Impero, che costituisce verosimilmente la fase di decollo del sistema capitalistico francese. È Marx stesso a sostenere (e la forzatura trontiana a questo proposito è anche «filologicamente» lecita) che la sconfitta della classe si trasforma in una vittoria perché la classe si è riconosciuta come tale apparendo sulla scena storica sempre altra rispetto ai suoi alleati e ponendo quindi i presupposti per la propria organizzazione politica e per un’azione pratica che si distingua ormai dal livello politico tradizionale, formale-istituzionale, per colpire il cuore dei rapporti di produzione. Da questo momento la classe ha un’identità pratico-politica determinata; il proletariato è la classe dei produttori, il proletariato di fabbrica è definito come classe in base alla nozione di lavoro astratto. Nell’analisi marxiana, la verità delle stratificazioni sociali si semplifica e i molti ceti presenti nelle opere storiche si raccolgono dentro la polarità operai-capitale. Il sotto-proletariato si configura come esercito industriale di riserva, i ceti intermedi produttivi e terziari indipendenti tendenzialmente scompaiono, la finanza e la circolazione del denaro sono introiettati al capitale. Già nelle opere marxiane della maturità è in atto un vasto progetto di ricomposizione di classe” (pag 47-48) [Maria Grazia Meriggi, ‘Rileggendo “Operai e capitale”: dall’autonomia operaia all’autonomia del politico’, Aut Aut, Milano, n. 147, 1975, pag 47-65] [(1) Mario Tronti, ‘Operai e capitale’, Einaudi, Torino, 1971, pp. 159-162; (2) ‘Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte’, Roma, Editori Riuniti, 1964, pp. 52-63]
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- Articolo pubblicato:19 Dicembre 2024