“Il capitalismo tende ad estendere la produzione illimitatamente, a sviluppare la sua azione nel mondo intero, a considerare tutti gli esseri come clienti potenziali (a questo proposito si può sottolineare una divertente contraddizione di cui Marx ha già parlato: ogni capitalista vorrebbe sempre che gli altri capitalisti aumentassero i salari dei loro operai, perché i salari di quegli operai sono il potere d’acquisto per le merci del capitalista in questione. Ma non permette che i salari dei propri operai aumentino, poiché questo fatto ridurrebbe evidentemente il suo profitto). Si produce quindi una strutturazione straordinaria del mondo che diventa una unità economica, realizzando una interdipendenza molto stretta fra le sue diverse parti. Tutta una serie di immagini sono state coniate a questo proposito, come ad esempio: se qualcuno starnutisce alla Borsa di New York, 10 mila contadini della Malesia sono rovinati. Il capitalismo produce una notevole interdipendenza dei redditi e una grande unificazione delle preferenze di tutti gli esseri umani; l’uomo, col capitalismo, diventa di colpo cosciente di tutta la molteplicità delle possibilità umane, mentre nella società precapitalistica era rinchiuso nelle limitate possibilità naturali di una sola regione. Nel Medio Evo, ad esempio, non si mangiava ananas in Europa, si mangiava soltanto frutta locale. Adesso si mangia la frutta prodotta praticamente nel mondo intero, si mangiano perfino prodotti provenienti dalla Cina e dall’India, ai quali non si era ancora abituati prima della II guerra mondiale. Vi sono dunque dei legami reciproci che si stabiliscono tra tutti i prodotti e tutti gli uomini. Si verifica, in altre parole, una ‘progressiva socializzazione di tutta la vita economica’, che diventa un tutto unico, un unico tessuto. Però accade semplicemente che tutto questo processo di interdipendenza faccia perno in modo folle sull’interesse privato, sulla proprietà privata di un piccolo numero di capitalisti, i cui interessi privati sono allo stesso tempo sempre più in contraddizione con gli interessi di miliardi di uomini facenti parte di questo tutto unico. La contraddizione tra la socializzazione progressiva della produzione e la appropriazione privata, che costituisce il movente e la base di quest’ultima, esplode nel modo più chiaro e grave nelle crisi economiche. Le crisi economiche del capitalismo sono fenomeni senza paragone, quali in precedenza non si erano mai conosciuti. Non sono crisi determinate dalla mancanza di beni, come accadeva in tutte le crisi precapitalistiche: sono invece delle crisi di sovrapproduzione. I disoccupati muoiono improvvisamente di fame, non già perché vi è troppo poco da mangiare, bensì perché vi è, relativamente, troppo da mangiare. (…) Le merci che non trovano compratori, non solo non realizzano più il loro plusvalore, ma non ricostituiscono neppure il capitale investito. Le scarse vendite obbligano quindi gli industriali a chiudere le industrie e quindi a licenziare gli operai” (pag 61-62) [Ernest Mandel, ‘Che cos’è la teoria marxista dell’economia’, Edizioni Savelli, Roma, 1972]
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- Articolo pubblicato:13 Giugno 2024