“Lenin definisce quindi chiaramente il criterio metodologico per l’analisi del fattore fondamentale che è al centro del movimento delle forze imperialistiche: «In regime capitalistico gli Stati Uniti d’Europa equivalgono ad un accordo per la spartizione delle colonie. Ma in regime capitalistico non è possibile altra base, altro principio di spartizione che la forza… Non si può dividere se non secondo la forza. E la forza cambia nel corso dello sviluppo economico. Dopo il 1871 la Germania si è rafforzata tre o quattro volte più rapidamente dell’Inghilterra e della Francia, e il Giappone dieci volte più rapidamente della Russia. Per mettere a prova la forza reale di uno Stato capitalista non c’è e non può esserci altro mezzo che la guerra. La guerra non è in contraddizione con le basi della proprietà privata, ma ne è lo sviluppo diretto e inevitabile. In regime capitalistico non è possibile un ritmo uniforme dello sviluppo economico, né delle singole aziende né dei singoli Stati. In regime capitalistico non sono possibili altri mezzi per ristabilire di quando in quando l’equilibrio scosso, all’infuori della crisi nell’industria e della guerra nella politica. Certo, fra i capitalisti e fra le potenze sono possibili accordi temporanei. (…) Lo sviluppo economico di un singolo Stato capitalista nei confronti degli altri Stati capitalisti è, quindi, il fattore fondamentale del movimento delle forze imperialistiche e la base oggettiva del rapporto tra queste forze. Il ritmo di sviluppo ed il grado di sviluppo economico diventano, quindi, il criterio metodologico per definire tale rapporto di forze. Il problema dell’equilibrio e della guerra perde, nel pensiero di Lenin, ogni valutazione soggettiva, idealistica e moralistica per diventare il risultato di una valutazione oggettiva, materialistica, dialettica. (…) La concezione leninista sul problema della guerra viene, di proposito, confusa con una generica concezione sulla inevitabilità della guerra, e viene confinata in una antimarxistica e irrazionalistica concezione fatalistica della inevitabilità della guerra. Da quanto abbiamo sopra citato, risulta chiaramente che la concezione di Lenin è quanto di più antifatalistico abbia concepito il pensiero umano, e non per un rifiuto “volontaristico” della fatalità della guerra, bensì per la conquista conoscitiva del processo inevitabile, o determinato, dei fenomeni sociali di cui la guerra è solo un aspetto, e della stessa inevitabilità che le contraddizioni che hanno determinato tali fenomeni diventino cause di crisi rivoluzionarie e condizioni oggettive per i movimenti rivoluzionari. Guerra e rivoluzione sono, quindi, aspetti di uno stesso fenomeno “inevitabile” perché prodotto dai rapporti di produzione capitalistici giunti ad un determinato livello storico che, per il loro stesso sviluppo, non possono che manifestarsi su scala mondiale, manifestarsi come “ineguaglianza dello sviluppo economico e politico”. Guerra e rivoluzione sono, perciò, gli aspetti contraddittori della ineguaglianza dello sviluppo economico e politico “come legge assoluta del capitalismo”” (pag 23-26) [A. Cervetto, ‘Lenin e la rivoluzione cinese’, Lotta Comunista, Genova, 1979] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]