“[Il capitalista] deve vendere [sul mercato] una massa di merci che rappresenta il plusvalore, lavoro non pagato; essi [i produttori] avrebbero soltanto da vendere una massa di merci che riprodurrebbe il valore anticipato nella produzione, nel valore dei mezzi e delle materie di lavoro e del salario. Egli ha bisogno quindi di un mercato più vasto di quello di cui essi avrebbero bisogno. Ma non dipende né da lui né da loro, se le condizioni di mercato si mantengono abbastanza favorevoli per iniziare la riproduzione. Gli operai sono dunque produttori, senza essere consumatori – anche quando il processo di riproduzione non è perturbato – di tutti quegli articoli che non debbono essere consumati individualmente ma industrialmente. Quindi niente di più assurdo che affermare, allo scopo di negare la crisi, che i consumatori (compratori) e i produttori (venditori) sono identici nella produzione capitalistica. Sono invece completamente distinti. Se il processo di riproduzione non si arresta, l’identità può essere sostenuta per un solo produttore su 3000 produttori, cioè per il capitalista. È egualmente falso affermare il contrario e cioè che i consumatori sono produttori. Il proprietario fondiario (il ‘rentier’) non produce niente, consuma soltanto. Lo stesso si può dire del capitale finanziario. Le frasi apologetiche che hanno lo scopo di negare le crisi, sono importanti, in quanto dimostrano sempre il contrario di quello che vorrebbero dimostrare. Per negare la crisi, sostengono l’unità dove esiste antitesi e contraddizione. Ciò è importante, in quanto si può dire: esse dimostrano che se le contraddizioni eliminate con la fantasia, non esistessero realmente, le crisi non scoppierebbero mai. Ma le crisi sono una realtà, perché esistono le contraddizioni. Ogni ragione addotta contro le crisi, è una contraddizione risolta con la fantasia, cioè una contraddizione reale e quindi una ragione delle crisi. Lo sforzo di risolvere le contraddizioni con la fantasia indica chiaramente che le contraddizioni effettivamente esistono, ad onta di ogni pio desiderio. Quel che in realtà producono gli operai è il plusvalore. Finché lo producono possono consumare. Non appena cessa, cessa anche il loro consumo, perché cessa la loro produzione. Ma non è vero che possono consumare, perché producono l’equivalente del loro consumo, piuttosto, non appena producono soltanto l’equivalente, cessa il loro consumo, non hanno alcun equivalente da consumare. Il loro lavoro viene arrestato o ridotto o, comunque, viene diminuito il loro salario: in questo ultimo caso – se il livello di produzione resta invariato – non consumano un equivalente della loro produzione. Ma allora mancano i mezzi di sussistenza, non perché non ne producono abbastanza, ma perché ricevono soltanto una parte troppo piccola dei loro prodotti” (pag 138-139) [da ‘Storia delle teorie economiche’, II, ‘Sulle forme della crisi’; (in) Karl Marx, ‘La crisi del capitalismo’, Newton Compton, Roma, 1974, a cura di Cosimo Perrotta]