“Gli obiettivi di Hilferding, posti con la sua discussa teoria sul valore della moneta, sono ben diversi. Tale teoria non è un progetto tecnico per uscire dall’inflazione o per riassettare un sistema monetario fondato sul corso forzoso. Essa costituisce piuttosto un tentativo di estendere la teoria marxiana a particolari situazioni che Marx non aveva potuto considerare, come il caso del bimetallismo e dei fenomeni inerenti alla transizione dal sistema monometallico argenteo a quello aureo, e cioè a fenomeni interessanti soprattutto la politica monetaria dell’Austria-Ungheria. In ogni caso, non è questo il nocciolo vitale delle teorie monetarie del ‘Capitale finanziario’; se così fosse, si dovrebbe accettare il giudizio di Kautsky e ritenere la teoria dello Hilferding “una teoria austriaca della moneta” (38). Il genuino contributo del ‘Capitale finanziario’ alla teoria monetaria ci sembra un altro. Hilferding, sviluppando i cenni teorici di Marx sulla cartamoneta cui facemmo riferimento, tenta di delineare una teoria della moneta nella “fase finanziaria” del Capitalismo; quando cioè il distacco dei biglietti di banca dall’oro diviene un mezzo sistematico di “spogliazione” dei redditieri relativamente deboli, o meglio di redistribuzione dei redditi a danno dei lavoratori, attraverso uno speciale “plusvalore relativo”, sorgente da un costante divario nel rapporto dinamico fra prezzi di vendita e costo del lavoro. I tempi erano d’altra parte maturi per una teoria del genere che venne comunque poco svolta nella posteriore dottrina” (pag XXIII-XXIV) [Giulio Pietranera, introduzione: “Il pensiero economico di Hilferding e il dramma della socialdemocrazia tedesca” (in) Rudolf Hilferding, ‘Il capitale finanziario’, Feltrinelli, Milano, 1972] [(38) Cfr. Kautsky, Gold, Papier und Ware’, cit., p. 845]