“L’ultimo atto, forse il più alto, certo il più importante dei Fasci [dei lavoratori siciliani, ndr], fu la riunione del Comitato centrale, tenuta in pieno stato d’assedio, in barba alla politica che ne doveva arrestare i partecipanti. Le deliberazioni di quel consesso furono soprattutto notevoli, perché consentirono di superare un errore di giudizio, che aveva inficiato l’azione del partito socialista e indebolito i suoi rapporti col movimento, giungendo fino alla scissione di responsabilità, come quella apparsa su «Lotta di classe» il 31 dicembre 1893. Un ruolo non secondario ebbe Antonio Labriola, il solo fra i dirigenti nazionali che credette necessaria una iniziativa di partecipazione diretta alle vicende siciliane. Anche per lui, come per il governo e per le altre forze politiche, il punto di riferimento fu la convocazione del Comitato centrale per il 3 gennaio, chiamato a risolvere i contrasti interni dei socialisti siciliani sulla linea da seguire. In vista di quella discussione e delle deliberazioni che ne sarebbero seguite, egli indirizzò al Bosco la lettera che riportiamo per esteso: «(…) Ho letto in non so quanti giornali: «Laggiù non si tratta del socialismo, ma della fame». E poi: «Quegli incoscienti dànno in eccessi». La gran sapienza da discussioni d’angolo di farmacia di paesello di provincia! Ma quelli che in qualunque modo si assumono il carico di condottieri e maestri del movimento proletario, sanno bene, come voi sapete benissimo per vostra esperienza, che appunto i ‘passionati eccessi del proletariato rivelano la malvagia natura di quest’ordine sociale, del quale il proletariato è vittima ed onta ad un tempo’. Auguri vivissimi e saluti cordiali a tutti. Vostro Antonio Labriola». Non sappiamo se il documento giunse mai a destinazione. Dai ricordi del De Luca sull’ultima riunione del Comitato centrale non risulta che il Bosco avesse fatto cenno di quella lettera agli intervenuti. È certo, comunque, che un atto di così viva perspicacia politica non andò perduto. (…)” (pag 318-321); “Per vincere, per avere un ruolo duraturo, per risorgere dopo la repressione armata, i Fasci dei lavoratori avrebbero dovuto situarsi in un diverso sviluppo del socialismo occidentale. Prima che dai soldati del generale Morra, i Fasci dei lavoratori furono soffocati nella loro profonda ragion d’essere dai deliberati, anche se non formali, dei congressi di Zurigo e di Reggio Emilia. Pure se Crispi non avesse proclamato lo stato d’assedio, difficilmente il movimento siciliano avrebbe superato la crisi. A meno che il movimento stesso, il che era assai improbabile, non avesse avuto un ruolo egemone nello sviluppo del socialismo italiano. Quando, nella seconda fase, la conquista socialista delle campagne viene affrontata da sinistra, grazie soprattutto a Lenin e al partito socialdemocratico russo, il marxismo trova la chiave giusta per affrontare la questione agraria. Il legame tra città e campagna, tra movimento operaio e movimento contadino, ritrova la sua dimensione rivoluzionaria, e diviene preminente interesse del movimento operaio assumere la guida delle lotte contadine nelle campagne” (pag 334) [Francesco Renda, ‘I fasci siciliani, 1892-94’, Einaudi, Torino, 1977] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]