“Il saggio di Trotzkij, ‘La nostra morale e la loro’ è scritto nel 1938 al Messico. È una discussione – in cui il rivoluzionario sconfitto ed esule si lancia, con violenza polemica moltiplicata dal suo isolamento, soprattutto contro il moralismo della socialdemocrazia e della sinistra occidentale, – sulla validità per la rivoluzione dell’assioma «il fine giustifica i mezzi». Trotzkij lo considera valido. L’inquadramento storico del problema è assai debole; di Machiavelli non si fa neppure il nome, la paternità dell’idea viene attribuita ai gesuiti, o meglio, ai protestanti che l’attribuivano polemicamente ai gesuiti. L’argomentazione con cui è difesa la storicità e relatività delle varie morali e la spietatezza della morale rivoluzionaria è più debole ancora. E anche la dote che siamo più portati ad apprezzare – la sincerità spietata della violenza rivoluzionaria, quella sincerità che fu di Lenin ma non più di Stalin – diventa quasi un’ostentazione astratta, un compiacimento intellettuale. (…) Quand’ecco, nelle ultime pagine del saggio, un colpo d’ala. Ecco che Trotzkij finalmente affronta il problema nel vero e unico modo in cui si può affrontarlo e per cui la morale socialista non può aver nulla a che fare con quella dei machiavellici. Tra fine e mezzi c’è un’interdipendenza dialettica, non possono essere mezzi buoni (cioè mezzi rivoluzionari) se non quelli che si accompagnano a un processo d’emancipazione delle masse, a una liberazione e a un arricchimento morale degli uomini. «Quando diciamo che il fine giustifica i mezzi, ne consegue per noi che il grande fine rivoluzionario respinge, tra questi mezzi, i procedimenti e i metodi indegni che sospingono una parte della classe operaia contro un’altra; o che tentano di fare la felicità delle masse senza la loro partecipazione; o che minano la fiducia delle masse in se stesse e nella loro organizzazione sostituendovi l’adorazione dei «capi». Al di sopra di ogni altra cosa, la morale rivoluzionaria condanna irriducibilmente il servilismo nei confronti della borghesia e l’altezzosità nei confronti dei lavoratori, cioè una delle caratteristiche più radicate nella mentalità dei pedanti e dei moralisti piccolo-borghesi». Qui Trotzkij, forte d’una esperienza non solo sua ma di tutto il movimento cui appartenne, tocca il vero nocciolo della questione e si pone all’altezza di controbattere non solo i sostenitori della morale trascendente o naturale ma anche il machiavellico suo grande antagonista. Non va più in là, Trotzkij, ma noi muovendoci da questo nocciolo possono dedurre che nella morale rivoluzionaria rientra la violenza popolare, dal basso, non quella poliziesca, né quella dall’alto, quando non emani da un’autorità investita da una spinta popolare diretta; che alla morale rivoluzionaria contribuiscono le lotte tra tendenze che coinvolgono ed educano l’opinione della base, non quelle le cui ragioni sono note solo al livello dei capi; che i mezzi, insomma, giustificano il fine più di quanto il fine non giustifichi i mezzi, cioè in ogni situazione storica la superiorità morale del socialismo si vive e si giustifica «qui e ora», non in un ipotetico domani di rosea perfezione” (pag 970-971) [Italo Calvino, ‘Etica ed estetica di Trotzkij’, Passato e presente, Roma, n. 7, gennaio-febbraio 1959] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]