«La Comune – forma politica dell’emancipazione sociale» (1). In questa formula è contenuto il decisivo apporto, la novità, che Marx trae dall’esperienza parigina del ’71 per quanto attiene all’analisi dello Stato, che aveva affrontato fin dall’inizio delle sue ricerche critiche e scientifiche nel 1843, con la ‘Questione ebraica’. La piena maturità del pensiero marxiano su questo argomento coincide con un reale arricchimento teorico, la ‘scoperta’ della forma che assume il costituirsi del proletariato in classe dominante, questo momento insostituibile sulla via dell’emancipazione sociale della classe operaia e dell’emancipazione umana dell’intera società. A questo punto la ricerca di Marx sullo Stato virtualmente si chiude, meglio si interrompe: la ‘Critica del programma di Gotha’, che è del 1875, aggiungerà solo alcune considerazioni generali sull’assetto della futura società, una volta venuto meno l’antagonismo sociale fra produttori e sfruttatori, quando «ogni uomo diventa un lavoratore e il lavoro produttivo cessa di essere l’attributo di una classe» (2). Qui il diritto «non riconosce distinzioni di classe» e tuttavia «riconosce tacitamente la ineguale attitudine individuale e pertanto la capacità di rendimento degli operai come privilegi naturali. ‘Esso è perciò – per il suo contenuto – un diritto della diseguaglianza, come ogni diritto» (3). Il lavoro è già emancipato ma non siamo ancora al punto in cui «tutte le sorgenti delle ricchezze collettive scorrono in abbondanza» e dunque «il ristretto orizzonte giuridico borghese può essere oltrepassato e la società può scrivere sulle bandiere: – Ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni!» (4)” [dall’Introduzione di Paolo Flores d’Arcais] (pag 7) (in Karl Marx, ‘Scritti sulla Comune di Parigi’, Samonà e Savelli, Roma, 1971] [(1) K. Marx, questo volume p. 125; (2) Ivi, p. 53; (3) Marx, ‘Critica al programma di Gotha’, Samonà e Savelli, Roma, 1968, p. 38; (4) Ivi, p. 39]