“Una discussione significativa, da parte di Marx, della ‘Critica della ragion pura’, nella sua opera, che noi si sappia, non esiste. C’è una presa di posizione, rapida ma essenziale, sulla ‘Rechtlehre’, cioè sullo scritto in cui Kant ha tracciato i lineamenti fondamentali di quello “Stato di diritto”, che è tanta parte dello Stato con cui la borghesia ha governato in Europa per tutto l’Ottocento. Invece, della ‘Critica’ come tale, un’analisi manca. Il caso è in un certo senso analogo (se non anche più grave) a quello del rapporto con Rousseau. E’ impossibile intendere la ‘Judenfrage’, senza la critica di Rousseau alla scissione dell’uomo moderno in ‘bourgeois’ e ‘citoyen’, impossibile capire la critica della rappresentanza parlamentare, contenuta nella ‘Critica del diritto statuale’ o nella stessa ‘Guerra civile in Francia’, senza l’antiparlamentarismo di Rousseau e la sua teoria della sovranità popolare come sovranità inalienabile. Eppure, le poche volte in cui Marx fa cadere il discorso su Rousseau, è solo per criticarne il (presunto) giusnaturalismo contrattualista. Il caso colpisce, ma non è né raro né impossibile da spiegare. Un pensatore fa delle “scoperte” – che in parte, poi, sono anche, come sempre, delle “riscoperte” – e tuttavia è incapace di rappresentarsene chiaramente la genealogia. La sua coscienza non riesce a rendere interamente conto del suo essere. Di più: certe influenze gli sono giunte per via indiretta, cioè mediate da un altro autore: quella di Kant ad esempio – soprattutto per ciò che occorreva a Marx – gli pervenne indubbiamente, a noi pare, attraverso l’intermediazione di Feuerbach. Infine, è da mettere in bilancio il clima storico in cui un pensatore si forma (non escluse le infatuazioni stesse e le mode, che non sono un privilegio di oggi): le polemiche tra le varie “scuole” hegeliane, i dibattiti all’interno della sinistra stessa, la presenza incombente e maestosa sullo sfondo, del grande pensiero di Hegel e – last but not least – un fatto decisivo: l’orientamento e il forte interesse storico-politico con cui Marx subito debutta, il “non cale” in cui da lui è stato sempre tenuto il problema gnoseologico come tale; ciò che non significa, si badi, come talvolta volgarmente si è inteso, nichilismo gnoseologico o un “volgere le spalle” sprezzante alla filosofia, ma significa – cosa ben più ardua da intendere – che, proprio per il fatto che quel problema filosofico o gnoseologico gli si era chiarito, esso veniva a disporsi per lui su un altro piano, dove tutto – categorie e materie – cambiavano nome e natura. E’ per certo che – in casi come questi, più che mai – il motto dello storico debba essere: ‘zu den Sachen selbst!’ [tornare alle cose stesse, ndr]. Contare quante volte il nome di Kant ricorra negli scritti di Marx, sarebbe impresa inutile. Il modo di procedere non può essere che quello di andare direttamente ai problemi stessi e qui, cioè nel vivo della questione reale, fare il conto del “dare” e dell’ “avere”, quale che possa essere stata, altrimenti, la consapevolezza o l’autocoscienza del singolo pensatore come tale. Ora, nel caso del rapporto con Kant, noi pensiamo che il luogo, dove l’esperimento possa farsi con un alto grado di precisione, esiste. Si tratta delle prime pagine del § 3 dell”Einleitung’ del ’57 ai ‘Grundrisse der Kritik der politischen Oekonomie’. Marx vi discute e vi critica il pensiero di Hegel. Noi crediamo di aver trovato il luogo della ‘Scienza della logica’ che, nello scrivere, Marx ha avuto presente (e non importa se presente agli occhi del corpo o a quelli della memoria). Il testo di Hegel contiene una critica a Kant. Marx, d’altra parte critica questo testo di Hegel. Sussistono, quindi, le condizioni ragionevoli per tentare di mettere a fuoco il rapporto tra i tre” (pag 275-276) [Lucio Colletti, ‘Il marxismo e Hegel. II. Il materialismo dialettico e irrazionalismo’, Laterza, Bari Roma, 1973]