“Tornando infine sull’argomento in polemica con i populisti, i quali sostenevano la teoria, che facevano risalire a Marx, ‘secondo cui in una società capitalistica sviluppata sarebbe inevitabile un’«eccedenza» di merci’, perché «il mercato interno non può essere sufficiente» in quanto «il plusvalore non può essere realizzato né nel consumo dei capitalisti né in quello degli operai, ma presuppone il consumo di terzi»; Lenin bolla come un’assurdità la teoria del surplus. Essa, scrive, ignora «la differenza fra il consumo personale e il consumo produttivo, la differenza fra mezzi di produzione e beni di consumo». Addebitarla a Marx è poi un errore, perché non si tiene conto che ‘Marx ha dimostrato nel volume II che è pienamente concepibile la produzione capitalistica senza mercati esteri; con una crescente accumulazione della ricchezza e senza l’intervento dei «terzi»’ (36). Dunque: niente eccesso crescente di produzione, niente bisogno di terzi, niente limite assoluto alla divisione del lavoro e all’espansione del mercato, ‘in regime di produzione capitalistico’. Per Lenin, come per Tugan, non esistono dunque limiti «naturali» allo sviluppo del capitalismo, è possibilissima «un’accumulazione illimitata». Anzi Lenin apporta alla teoria della sproporzione un correttivo che la avvicina alla realtà, eliminando però quel tanto di ‘memento mori’ che essa sembra ancora profetizzare al capitalismo nella versione Tugan-Baranowsky. Benché la teoria della riproduzione allargata di Tugan infatti non escluda minimamente la possibilità di uno sviluppo capitalistico più equilibrato dal punto di vista sociale, dove cioè sia fatto maggior posto ai consumi delle masse lavoratrici; tuttavia non si può negare che nel 1894 egli propendesse a ritenere come assai più probabile in pratica uno sviluppo futuro basato sull’ampliamento quasi esclusivo del settore I e la stagnazione del settore II, analogamente a quanto era accaduto nel passato. Con la conseguenza che si poteva prevedere un crescente scontento delle masse e situazioni sempre più rivoluzionarie come il risultato di uno sviluppo così squilibrato dal punto di vista sociale. E solo più tardi Tugan aggiusterà l’applicazione della teoria alla realtà per rendere conto dei miglioramenti indiscutibili verificatisi nelle condizioni di vita della classe operaia. Lenin invece, pur riconoscendo che in teoria non è «assolutamente impossibile» che «lo sviluppo della produzione sociale [avvenga] esclusivamente nei riguardi dei mezzi di produzione  per i mezzi di produzione, ‘con una completa stagnazione della II categoria’ [ = sezione, quella dei beni di consumo]», non solo relega questa ipotesi al valore di un caso limite puramente teorico, ma, a differenza di Tugan, individua anche una delle cause che rendono impossibile in un’economia industriale a regime privatistico lo sviluppo della sola sezione I e la staticità prolungata della produzione del settore II: «E’ ammissibile che il progresso della tecnica, il quale fa decrescere il rapporto tra ‘v’ e ‘c’, si esprima solo nella categoria I, lasciando la II in stagnazione completa? E’ conforme alle leggi della società capitalista, la quale ‘esige’ da ogni capitalista l’allargamento della azienda sotto la minaccia della rovina, che nella categoria II non si verifichi nessuna accumulazione?» (37). Finché esiste un regime privatistico le leggi stesse della concorrenza provvederanno a che il progresso tecnico e l’ampliamento della produzione si verifichino anche, seppure in misura minore, nel settore II. Sicché il capitalismo, pur potendo in teoria svilupparsi comprimendo al livello di pura sussistenza i consumi delle masse lavoratrici, in regime di consumi immobili o addirittura decrescenti, in pratica secondo Lenin si sviluppa accrescendo anche i consumi, migliorando cioè le condizioni di vita delle masse. Non solo quindi non esiste un limite «naturale» allo sviluppo indefinito del capitalismo, costituito dalla sua incapacità crescente ad elevare i consumi in misura proporzionata ai bisogni della produzione; ma, al contrario, l’interesse degli imprenditori del settore II a «realizzare» il volume in continua espansione del loro prodotto costituisce, all’interno della dinamica del capitalismo, una forza potenzialmente concorrente con la pressione operaia verso la crescita effettiva dei consumi (38)” [Domenico Settembrini, ‘Le contraddizioni del capitalismo nelle opere giovanili di Lenin (1893-1902)’, Nuova Rivista Storica, Città di Castello, n. 3-4, 1969] [note (36) Lenin, ‘Il contenuto economico del populismo’, 1894, ‘Opere’, I, p. 515; (37) Lenin, ‘A proposito della cosiddetta questione dei mercati’, ‘Opere’, I, p. 81; (38) Non è perciò del tutto esatto affermare di Lenin quanto si può invece affermare del Tugan del 1894, e cioè che nel descrivere le caratteristiche del capitalismo anticipava in realtà quelle che saranno le caratteristiche dell’industrializzazione staliniana (V. Alec Nove, ‘Lenin as an Economist’, in Schapiro (Editor), ‘Lenin, the Man, the Theorist, the Leader: A Reappraisal’, London, 1967, p. 196), perché in effetti Lenin, almeno quanto ai consumi delle masse che è la questione che qui interessa, ha descritto l’economia di mercato a tinte assai più rosee di quella che sarà poi la realtà della economia pianificata di Stalin] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]