“Ma allora come si spiega per Lenin il grande bisogno che i paesi capitalisti hanno di mercati esteri? Allo stesso modo come la spiega Tugan [Baranowsky] l’anno dopo. E’ vero: una nazione capitalista «non può esistere senza mercati esteri». Ma perché? Perché il progresso tecnico non soffia con uguale e costante forza, con «proporzionalità», su tutte le diverse e molteplici branche dell’economia, ma anzi è sua caratteristica di spirare «in una parte più e meno altrove». Sicché i rami produttivi più impetuosi si trovano ad espandersi troppo, «sproporzionatamente», rispetto al mercato interno che si trovano di fronte ‘in quel determinato momento’. Ovviamente non possono attendere che il mercato interno raggiunga le dimensioni richieste. Potrebbero riconvertire una parte del capitale in altri rami, ma ciò non avverrebbe senza crisi e senza perdite, per cui i capitalisti cercano, se possono, un mercato che sia ‘subito’ della ampiezza necessaria fuori del paese di origine, optano per l’espansione in larghezza non potendo sul momento soddisfare senza perdite i propri bisogni coll’espansione in profondità. All’estendersi della divisione del lavoro nell’area del mercato nazionale, all’espansione in profondità, si sostituisce così un’estensione a livello meno articolato ma su un’area più vasta e la forma di produzione capitalistica viene esportata in altri paesi. Questo ci sembra il senso della risposta che Lenin va elaborando in forma sempre più chiara e precisa attraverso i suoi scritti di questo periodo, dove torna insistentemente e sempre più ampiamente sul tema. Sempre nel 1893, nell”opus magnum’: ‘Lo sviluppo del capitalismo in Russia’, scrive: “Le diverse branche dell’industria che servono da «mercato» le une per le altre, non si sviluppano in modo uguale, ma l’una supera l’altra e quella che cerca un mercato esterno è l’industria più sviluppata. Questo non comporta affatto «l’impossibilità, per una nazione capitalistica, di realizzare il plusvalore», come è pronto a concludere, profondamente, il populista. Questo indica soltanto una sproporzione nello sviluppo delle diverse industrie. ‘Con un’altra ripartizione del capitale nazionale la stessa quantità di prodotto avrebbe potuto essere realizzata all’interno del paese’. Ma perché il capitale abbandoni una branca d’industria e passi a un’altra, bisogna che prima subisca una crisi. Ora, che cosa può trattenere i capitalisti minacciati da una crisi dal cercare un mercato estero, dal cercare sussidi e premi tendenti a favorire l’esportazione, ecc.?” (34)” [Domenico Settembrini, ‘Le contraddizioni del capitalismo nelle opere giovanili di Lenin (1893-1902)’, Nuova Rivista Storica, Città di Castello, n. 3-4, 1969] [(34) Il brano è riportato in appendice al ‘Capitale’, II, 2, pp. 241-42] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]
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- Articolo pubblicato:23 Marzo 2017