“C’è un brano del ‘Manifesto del partito comunista’ di Carlo Marx e Federico Engels – ed è opportuno ricordare che è del 1848 – che descrive, con singolare efficacia quella serie di modificazioni nel loro globale contesto economico e sociale. «La società moderna borghese, nata sulle rovine di quella feudale, non ha tolto di mezzo gli attriti di classe; creò nuove classi, nuove condizioni di oppressione e nuove forme di lotta in luogo delle antiche. L’epoca nostra, che è epoca di borghesia, si distingue tuttavia per una semplificazione nella lotta di classe. Tutta la società si scinde sempre più in due vasti campi nemici, in due classi ostili l’una all’altra: la Borghesia e il Proletariato. I servi del medioevo si mutarono in abitatori dei primi borghi, e dai borghigiani presero sviluppo i primi elementi della borghesia. La scoperta dell’America e la circumnavigazione dell’Africa offrirono un nuovo campo d’azione all’adolescente borghesia. Il mercato delle Indie orientali e della China, la colonizzazione dell’America, i traffici delle colonie, l’aumento dei mezzi di scambio e soprattutto delle merci, diedero un impulso sin allora sconosciuto ai commerci, alla navigazione, all’industria, favorendo, nella cadente società feudale il rapido sviluppo di elementi rivoluzionari. Infatti, il sistema produttivo dell’industria feudale o corporativa ormai non bastava più ai crescenti bisogni dei mercati nuovi. Sorse la manifattura. Sorse un ceto medio industriale che rovesciò le maestranze; la divisione del lavoro per corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nelle singole officine. Intanto i mercati continuavano ad ingrandire e i bisogni a crescere. Tant’è che presto anche la manifattura non bastava più. D’un tratto il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. Alla manifattura succedette la grande industria moderna; al ceto medio industriale succedettero i borghesi milionari, capitani di eserciti industriali. La grande industria aperse il mercato mondiale, già preparato dalla scoperta dell’America. Il mercato mondiale diede al commercio, alla navigazione e alla viabilità continentale un immenso sviluppo, il quale a sua volta provocò l’espandersi dell’industria; la borghesia, sviluppandosi proporzionalmente colle industrie, coi commerci, colla navigazione e colle ferrovie crebbe, aumentando i suoi capitali e lasciando nel retroscena le classi sopravvissute al medioevo» (2). In altri termini si può dire che lo sviluppo economico dell’epoca moderna è stato realizzato attraverso quel particolare ordinamento o quella particolare forma dell’economia che ha determinato l’affermazione della classe imprenditoriale borghese e il prevalere del capitale. Spiegava sul finire dell”800 Antonio Labriola: «La società borghese è sorta dalla società corporativa e feudale, e ne è sorta lottando, e rivoluzionando ciò che aveva dinanzi a sé, per impossessarsi degli strumenti e dei mezzi della produzione, i quali tutti poi culminano nella formazione, nell’allargamento, e nella riproduzione e moltiplicazione del capitale» (3). (…) In questa struttura economica composita come si presentano le unità economiche operative? «La borghesia», scriveva Marx, «tende sempre più a farla finita con lo sparpagliamento dei mezzi di produzione, della proprietà e della popolazione. Ha agglomerato la popolazione, accentrando in poche mani la proprietà e i mezzi di produzione». La forma è indubbiamente efficace, ma l’esperienza medesima della Russia sovietica e delle democrazie popolari non sta ad insegnare che l’agglomeramento della popolazione e l’accentramento dei mezzi di produzione sono il risultato del progresso tecnico, ossia per dirla ancora con Marx, «di una serie di sconvolgimenti nei modi di produzione e di scambio»?” [Silvio Pozzani, ‘L’economia italiana: situazioni e problemi’, Milano, 1961] [(2) Carlo Marx e Federico Engels, ‘Il manifesto del partito comunista’, in ‘Politica ed economia’, vol. XII della Nuova Collana di Economisti, Utet, Torino, 1934, pag. 58; (3) Antonio Labriola, ‘In memoria del manifesto dei comunisti’, in ‘Politica ed economia’, cit., pag. 14]