“Con le macchine nasce d’un tratto un nuovo tipo di operaio, il produttore di macchine. Sappiamo già che l’industria meccanica si impadronisce anche di questa branca di produzione su scala sempre più voluminosa. Inoltre, per quanto riguarda la materia prima, non c’è p. es. nessuno dubbio che la marcia forzata della filatura del cotone ha accelerato come in una serra la crescita della coltivazione del cotone negli Stati Uniti, e con essa non soltanto la tratta degli schiavi africani, ma anche, e insieme, l’allevamento dei negri come impresa principale dei cosiddetti Stati schiavisti di confine. Quando nel 1790 si fece negli Stati Uniti il primo censimento degli schiavi, il loro numero ammontava a 697.000, nel 1861 invece si aggirava sui quattro milioni. D’altra parte non è meno certo che il fiorire della lavorazione meccanica della lana ha provocato, con la trasformazione progressiva del terreno arabile in pascolo per le pecore, la cacciata in massa dei lavoratori agricoli, divenuti un «sovrappiù». Ancora in questo momento l’Irlanda sta percorrendo il processo di un’ulteriore riduzione della sua popolazione, già diminuita della metà quasi dopo il 1845, alla misura esattamente corrispondente ai bisogni dei suoi ‘landlords’ e dei signori fabbricanti di lana inglesi” (pag 488-489); “Effettivamente, la miseria dell’Irlanda è di nuovo il tema del giorno in Inghilterra. Alla fine del 1866 e ai primi del 1867 uno dei magnati terrieri irlandesi, Lord Dufferin, s’accinse a risolvere il problema sul ‘Times’. «Che cosa umana da parte di sì gran signore!» (Goethe, Faust, Prologo, 353-354). (…) Ma la parte leonina del reddito annuo nazionale che un numero estremamente esiguo di magnati terrieri ingoia in Inghilterra, Scozia e in Irlanda, è così enorme che la ragion di Stato inglese trova opportuno fornire per la distribuzione della ‘rendita fondiaria’ materiale statistico diverso da quello per la distribuzione del ‘profitto’. Lord Dufferin è uno di questi magnati terrieri. Che i ruoli delle rendite e i profitti possano mai esser «in soprannumero», o che la loro pletora sia in qualche modo connessa alla pletora della miseria popolare è naturalmente un’idea tanto «poco rispettabile» quanto «malsana» (unsound). Egli si attiene ai dati di fatto. Ed è dato di fatto che mano a mano che diminuisce il numero della popolazione irlandese, i ruoli delle rendite si gonfiano, cosicché lo spopolamento «fa bene» al proprietario fondiario, quindi anche alla terra, quindi anche al popolo, che non che è un accessorio della terra. Egli dichiara dunque che l’Irlanda è tuttora ‘sovrappopolata’ e che la fiumana dell’emigrazione scorre tuttora troppo lentamente. Per essere completamente felice, l’Irlanda dovrebbe disfarsi ancora per lo meno di un terzo di milione di lavoratori. (…) E, ‘comme l’appetit vient en mangeant’, gli occhi del ruolo delle rendite scopriranno ben presto che l’Irlanda con tre milioni e mezzo di abitanti, è ancor sempre miserabile, e miserabile ‘perché sovrappopolata’, che quindi il suo spopolamento deve spingersi ben oltre, affinché l’Irlanda compia la sua vera missione che è quella di pascolo ovino e bovino per gli inglesi (1). Questo metodo redditizio ha, come ogni cosa buona di questo mondo, il suo inconveniente. Con l’accumulazione della rendita fondiaria procede di pari passo l’accumulazione degli irlandesi in America. L’irlandese eliminato dalle pecore e dei buoi risorge al di là dell’Oceano, come feniano (*). E di fronte alla vecchia regina dei mari si erge sempre più minacciosa la giovane repubblica gigantesca. ‘Acerba fata Romanos agunt / Scelusque fraternae necis’ (**)” [(*) Feniani: associazione irlandese fondata nel 1861 per la liberazione dell’Irlanda dall’oppressione inglese; (**) Aspro destino incalza i romani / E’ il delitto del fratricidio (Orazio); (1) Dimostrerò in modo più particolareggiato nel libro III di questo scritto, nella sezione sulla proprietà fondiaria, come la grande carestia e le circostanze che ne furono conseguenza venissero sfruttate sistematicamente sia dai singoli proprietari fondiari sia dalla legislazione inglese per imporre con la forza la rivoluzione agricola e per assottigliare la popolazione dell’Irlanda nella misura confacente ai ‘landlords’. (…)] [Karl Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica. Libro Primo. II, Roma, 1980] (pag 773-776)