“Fra il concetto di monopolio proposto da Marx e quello che compare nei teorici marxisti successivi esiste una differenza decisiva, nel senso che per monopolio Marx intende o quel monopolio della classe capitalistica sui mezzi di produzione che è struttura costitutiva della società, oppure il risultato di una costellazione di mercato casuale e transitoria o ancora il monopolio della classe dei proprietari terrieri su parti del suolo, onde la rendita si configura come una specie di tributo imposto da questa classe al resto della società. Invece, nell’ambito centrale ed essenziale della società capitalistica, nell’industria, prevale la tendenza a produrre – contro tutti i vincoli tradizionali – le condizioni del suo libero dispiegamento (29), ossia ad affermare ovunque il principio della libera concorrenza. Le conseguenze che la limitazione della libera concorrenza comporta per le forme di attuazione delle leggi immanenti del modo di produzione non sono tematizzate esplicitamente da Marx. Ma i teorici postmarxiani considerano il monopolio come categoria basilare, da cui derivano modificazioni decisive delle forme di attuazione e spesso delle stesse leggi di movimento. Una categoria chiave in questo contesto è il profitto di monopolio, di cui i monopoli possono appropriarsi in quanto determinano i prezzi in modo che consentano il profitto di monopolio, appunto. Così Hilferding scrive: “Il loro scopo [delle unioni monopolistiche] è l’aumento del saggio di profitto, e possono ottenerlo direttamente aumentando i prezzi, purché siano in grado di eliminare la concorrenza. A questo punto sorge il problema dei prezzi di cartello” (30). La formulazione di Varga è analoga: “Lo scopo della monopolizzazione è l’appropriazione di un profitto maggiore di quello che toccherebbe in regime di libera concorrenza, dove si stabilisce il saggio di profitto medio; questo scopo è ottenuto con l’eliminazione dell’influenza regolatrice della libera concorrenza sulla formazione del prezzo del proprio prodotto” (31). E’ evidente che tutti coloro che partecipano al mercato si propongono la formazione del monopolio in questo senso. Così già Engels scriveva, nel suo primo lavoro economico, ‘Lineamenti di una critica dell’economia politica’, del 1844: «Ogni piccolo gruppo di concorrenti deve desiderare il monopolio contro tutti gli altri. La concorrenza si fonda sull’interesse, e l’interesse genera, a sua volta, il monopolio; in breve, la concorrenza trapassa nel monopolio. Dall’altra parte il monopolio non può arrestare il flusso della concorrenza, anzi la genera esso stesso, come ad esempio il divieto di importazione o alte tariffe doganali generano addirittura la concorrenza del contrabbando. La contraddizione della concorrenza è del tutto identica alla contraddizione della proprietà privata. E’ interesse di ogni singolo possedere ogni cosa, ma è interesse della comunità che ciascuno possieda nella stessa misura… La contraddizione della concorrenza sta in ciò, che ciascuno deve desiderare il monopolio, mentre la comunità in quanto tale viene danneggiata dal monopolio e quindi deve eliminarlo» (32)” [Elmar Altvater, ‘Il capitalismo si organizza: il dibattito marxista dalla guerra mondiale alla crisi del ’29’, Estratto da ‘Storia del marxismo’, Volume terzo, ‘Il marxismo nell’età della Terza Internazionale, I. Dalla rivoluzione d’Ottobre alla crisi del ’29’, Torino, 1980] [(29) Nei “Grundrisse” (pp. 657-58) Marx scrive: «Le leggi interne del capitale – che ai livelli storici preliminari del suo sviluppo presentano come semplici tendenza – giungono a porsi come leggi; la produzione fondata sul capitale si pone nelle sue forme adeguate soltanto in quanto e nella misura in cui si sviluppa la libera concorrenza, giacché questa è il libero sviluppo del modo di produzione fondato sul capitale… Ma la libera concorrenza è la forma adeguata del processo di produttivo del capitale»; (30) Hilferding, ‘Il capitale finanziario’, cit., p. 299; (31) Varga, ‘Zehn Jahre’, cit., p. 12; (32) F. Engels, ‘Lineamenti di una critica dell’economia politica’, in K. Marx e F. Engels, ‘Opere’, vol. 3, p. 469]