“Il problema della scientificità del marxismo era stato al centro di vivaci dibattiti nel passato. Già alla fine dell’Ottocento Eduard Bernstein -alfiere del revisionismo – aveva posto la questione nei seguenti termini: se il marxismo era classificabile come una scienza, esso avrebbe dovuto rinunciare a essere l’espressione teorica d’interessi specifici d’una classe – il proletariato – ed essere accolto da tutti coloro che fossero disponibili a comprendere il carattere progressivo e necessario dello sviluppo storico. Tale prospettiva, contrastata da Bernstein, si era affermata nella socialdemocrazia tedesca, dacché con il congresso di Erfurt (1891) il Partito aveva indicato il marxismo quale supporto del suo programma, fornendone un’interpretazione alquanto semplificata ma politicamente efficace. Il marxismo coincideva con il socialismo scientifico, era anti-utopista e non concedeva nulla all’etica, giacché la società futura sarebbe stata l’esito necessario della crescita delle forze produttive del capitalismo. La dottrina assunse in questo modo le sembianze di una filosofia della storia, con gli uomini e le classi chiamati a comprendere il senso dello sviluppo. Era del tutto coerente, in questo contesto, privilegiare il lato scientifico della dottrina, o al limite ricondurre la soggettività e l’etica sotto il manto protettiva della scienza. [Maximilien] Rubel riconobbe sempre il carattere scientifico della riflessione marxiana, con particolare riferimento al materialismo storico, ma era persuaso che da esso non si potesse dedurre alcuna prassi sociale e politica, non importava se rivoluzionaria o riformista, cui la classe lavoratrice dovesse piegarsi. L’azione, le speranze, le scelte del proletariato e delle sue organizzazioni erano ancorate all’aspirazione etica dell’affrancamento di classe, tappa preliminare dell’emancipazione umana. Ciò nonostante, egli non intendeva offrire una nuova interpretazione di Marx tra le molte esistenti, inducendo a credere che nel pensatore l’etica si fosse presentata quale sfera autonoma e separata dalla altre: intendeva piuttosto riconoscere al tedesco il grande merito di aver fornito una solida base scientifica all’etica socialista mutuata dai pensatori precedenti. Concedeva che l’autore del ‘Capitale’ aveva sempre respinto l’idea di morale, ma sottolineava come egli avesse parimenti nutrito l’esigenza di dare un senso alla vita individuale e collettiva. In ciò individuava un’etica – in un’accezione che si conciliava perfettamente con il rifiuto d’istituire un sistema di morale astratto o trascendente, separato e autonomo – le cui norme dovevano essere derivate dall’ideale che gli uomini razionalmente prospettavano e desideravano: il suo ancoraggio, infatti, non era nel passato, ma nell’utopia socialista del futuro, autentico criterio d’orientamento per l’azione. Rubel riteneva che in Marx etica e scienza fossero sempre coesistite: da una parte era comparsa l’analisi scientifica della società capitalistica, condotta «con la partecipazione delle scienze naturali» (6); da un’altra parte si era presentata la concezione dell’uomo, con i suoi valori, le sue credenze, agente della storia e non da essa dominato. Di fronte alle contraddizioni della società capitalistica, che sembravano preannunciare l’avvento del socialismo, Marx era stato consapevole che, se il proletariato non avesse preso coscienza della propria missione storica, la trasformazione non sarebbe stata possibile: «Al ‘determinismo casuale’ che regge i fenomeni storici del passato corrisponde, nella sfera dei valori etici, la ‘scelta’ dei ‘mezzi’ immediati impiegati in vista di un ‘fine’ lontano, fine e mezzi dovendo ‘psicologicamente’ coincidere nella ‘pratica rivoluzionaria’, che implica la metamorfosi simultanea del mondo e degli uomini» (7). Nel Marx di Rubel, pertanto, all’analisi scientifica competeva l’individuazione di leggi e tendenze storiche; apparteneva invece a una dimensione di diversa natura la prefigurazione del mondo da costruire, imperniata sui risultati che l’osservazione scientifica della realtà sociale metteva a disposizione, ma afferente a un percorso spirituale, che faceva riferimento all’attività rivoluzionaria orientata all’emancipazione dell’umanità intera: «La predizione del socialismo non è in quanto tale una verità scientifica, ma un giudizio di valore sostenuto da una convinzione e un atteggiamento etici, che trovano alimento nella conoscenza oggettiva dei dati materiali, economici e storici, capaci di condurre a una rivoluzione totale della società attuale e alla nascita dell’«umanità sociale» (X tesi su Feuerbach). In una parola, la tesi dell’ineluttabilità del socialismo appartiene al campo di quelle verità che per divenire «oggettive» necessitano di una ‘partecipazione’ attiva, di un ‘impegno etico’» (8). Tutta l’originalità di Marx albergava nella fusione di scienza e etica, nell’articolazione tra elemento scientifico e elemento normativo (9), come a Rubel sembrava evidente sia nel ‘Manifesto comunista’ sia nel ‘Capitale’. Leggendo il testo del 1848, per esempio, egli si era soffermato sulla concezione della storia quale storia di «lotte di classi», che, secondo Marx, dovevano concludersi sempre «o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta» (10), un’alternativa che più tardi Rosa Luxemburg avrebbe efficacemente espresso nella formula «socialismo o barbarie» (11). Agli occhi di Rubel, ciò significava che il socialismo non era destinato a realizzarsi per la natura stessa delle cose: la scienza marxiana poneva un dilemma oggettivo, o l’emancipazione umana o la crisi di civiltà, ma la soluzione d’esso competeva alla soggettività rivoluzionaria, all’organizzazione e all’azione politica, cui gli autori del ‘Manifesto’ sollecitarono instancabilmente il proletariato, affinché il socialismo si affermasse contro la barbarie” [Gianfranco Ragona, ‘Il socialismo tra etica e scienza: la «marxologia» di Maximilien Rubel’] [(in) ‘Il sistema e i movimenti. (Europa: 1945-1989). ‘L’altronovecento, comunismo eretico e pensiero critico’, volume II’, Milano, 2011, a cura di Pier Paolo Poggio] [(6) K. Marx, ‘Prefazione a ‘Per la critica dell’economia politica”, in K. Marx, F. Engels, Opere scelte (1966), Roma, 1976, p. 747; (7) Cfr. M. Rubel, ‘Introduction à l’éthique marxienne’, in K. Marx, ‘Pages choisies pour une éthique socialiste’, Marcel Riviere, Paris, 1948, pp. VI-L, Seconda edizione in due volumi, a cui faccio riferimento, Payot, Paris, 1970, vol. I., pp. 7-53: la citazione è alle pp. 24-25; (8) M. Rubel, ‘Introduction à l’éthique marxienne’, cit., p. 30; (9) «Laddove scienza ed etica si compenetrano, là c’è tutta l’originalità di Marx»: M. Rubel, ‘Mise au point non dielectique’, ‘Les Temps Modernes’, XIII, n. 142, dicembre 1957, p. 1139; (10) K. Marx, F. Engels, ‘Il manifesto del partito comunista’ (1848), Torino, 1998, p. 7; (11) R. Luxemburg, ‘La crisi della socialdemocrazia’ (1916), in L. Basso (a cura di), ‘Scritti politici’, Roma, 1970, pp. 447-448: si tratta dello scritto noto quale ‘Junius-broschure’]
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- Articolo pubblicato:21 Novembre 2016