“Il rapporto di universalità, particolarità e singolarità è naturalmente un problema antichissimo del pensiero umano. Se non si distinguono, almeno in una certa misura, queste categorie, se non si delimitano reciprocamente e se non si ha una certa conoscenza del loro reciproco trapassare l’una nell’altra è impossibile orientarsi nella realtà, è impossibile una prassi anche nel senso più quotidiano della parola. Va da sé, quindi, che, non appena il pensiero dialettico interviene, sia pure in forma spontanea, e in particolare quando esso lotta per giungere alla coscienza, debbono sorgere questi problemi. Lenin lo nota già in Aristotele. Egli cita un passo dal quale risulta chiaramente che Aristotele aveva già scorto il pericolo ideologico di una autonomizzazione dell’universale: «Poiché naturalmente non si può essere dell’opinione che esista una casa (una casa in generale) al di fuori delle case visibili» (1). Naturalmente il commento di Lenin, che è limitato qui al rapporto dialettico di universale e singolare, ma che può senz’altro estendersi al particolare, va molto oltre Aristotele. «Dunque, gli opposti (il singolo è in opposizione con l’universale) sono identici: il singolo non esiste se non nel legame che conduce all’universale. L’universale non esiste che nel singolo, attraverso il singolo. Ogni cosa singola è (in un modo o nell’altro) universale. Ogni cosa universale è una particella, o un lato, o la essenza del singolo. Ogni cosa universale abbraccia soltanto approssimativamente tutti gli oggetti singoli. Ogni elemento singolo entra non completamente nell’universale, e così via. Ogni singolo è legato da migliaia di transizioni ai singoli di un altro ‘genere’ (cose, fenomeni, processi). E così via. ‘Già qui’ vi sono degli elementi, degli embrioni del concetto della ‘necessità’, del legame oggettivo della natura, ecc. Il contingente e il necessario, l’apparente e l’essenza sono già presenti, poiché dicendo: Giovanni è un uomo, Fido è un cane, ‘questo’ è una foglia d’albero, ecc., noi ‘gettiamo via’ una serie di indizi come contingenti; separiamo l’essenziale dall’apparente e contrapponiamo l’uno all’altro». Il pericolo, che Aristotele vedeva, della autonomizzazione dell’universale e che, prima di lui, aveva assunto chiara forma nella filosofia di Platone, si approfondisce nella filosofia medievale con il realismo concettuale. Per il nostro problema un’importante componente di questo pericolo è che singolarità, particolarità e universalità non vengano colte come determinazioni della realtà anche nelle loro dialettiche relazioni reciproche, e che, invece, una sola di queste categorie venga considerata come più reale in confronto alle altre, anzi la sola reale, la sola oggettiva mentre alle altre spetterebbe soltanto una importanza soggettiva. L’universalità riceve questa accentuazione gnoseologica nel realismo concettuale. L’opposizione nominalistica capovolge le designazioni e dell’universalità fa una determinazione puramente soggettiva, fittizia. Questa opposizione contro il realismo concettuale, spesso spontaneamente materialistica – e certo, corrispondente alle circostanze storiche, anche essa di tipo teologico -, nella sua critica del realismo concettuale si capovolge in una soggettivizzazione dell’universale, nel nominalismo. Marx scorge in Duns Scoto un materialismo spontaneo, nascosto sotto veli teologici, e lo definisce la «la prima espressione» del materialismo. Una tendenza nominalistica di questo tipo predomina anche agli inizi del materialismo nella filosofia moderna; giustamente Marx cita a questo proposito Hobbes (2). Anche il momento sottolineato da Engels nello sviluppo della filosofia moderna, che la nascita e il primo svilupparsi delle scienze naturali stabiliscono in un primo tempo un predominio del pensiero metafisico, determina in misura decisiva l’assenza o, al massimo, la presenza saltuaria della dialettica del particolare. Certo talune figure centrali della fondazione filosofica delle nuove scienze matematico-geometrico-meccaniche erano anche dialettici notevoli, così Descartes, così Spinoza. Quest’ultimo con la sua definizione «’omnis determinatio est negatio’» ha dato un contributo essenzialissimo, come poi vedremo, ad una esatta comprensione della particolarità. Tuttavia la nostra questione cominciò a porsi al centro dell’interesse filosofico solamente quando l’interesse scientifico non si rivolse più soltanto alla fisica, concepita sostanzialmente come meccanica, bensì anche alla chimica e soprattutto alla biologia; quando nella biologia cominciarono ad emergere i problemi dell’evoluzione, quando la Rivoluzione francese anche nelle scienze sociali pose in primo piano la lotta per l’idea dell’evoluzione” [Gyorgy Lukacs, ‘Prolegomeni a un’estetica marxista. Sulla categoria della particolarità’, Roma, 1957] [((1) V.I. Lenin, ‘Aus dem philosophischen Nachlass’ (Dalle opere filosofiche postume), Vienna-Berlino, 1932, p. 287. Questa parte è tradotta in Lenin, ‘Marx-Engels-Marxismo’, Edizioni Rinascita, Roma, 1952, p. 269; (2) K. Marx F. Engels, ‘La sacra famiglia’, Roma, 1954, p. 139] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]
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- Articolo pubblicato:26 Agosto 2016