“Per Marx, il diritto al lavoro non è sicuramente il mezzo adatto per realizzare la rivoluzione proletaria, ma la sua potenziale pericolosità di scardinamento del sistema economico borghese, viene ammessa, e non nascosta, da Marx stesso, che proseguendo la sua analisi afferma: “l’Assemblea costituente, che aveva posto di fatto il proletariato rivoluzionario ‘hors la loi’, fuori legge, doveva per ragioni di principio espellere dalla Costituzione, dalla legge delle leggi, una formula: doveva lanciare il suo anatema contro il diritto al lavoro” (34). Quindi, la lotta per il diritto al lavoro non era così scontata, in un regime borghese, neanche per Marx; naturalmente egli ne valutava la minima efficacia per l’elevamento sociale delle classi lavoratrici, ma questo giudizio no lo faceva esitare dal considerare quella richiesta giuridica, ostile, di fatto, allo status quo politico-economico. Nella formula borghese del contratto di lavoro, la società degli uomini è eguagliata, ma in un eguagliamento astratto che rende la sua sussunzione sotto la proprietà privata. Per Engels e Kautsky, il problema principale era quello di capire che cosa volesse intendere Menger, quando richiedeva a favore della classe operaia, il diritto al compenso integrale del lavoro, il cosiddetto ‘diritto n. 1’, in quanto, “hätte er nur eine Geschichte des Rechts Nr. 1 geschrieben, seine Schrift wäre spurlos vorübergegangen. Diese Geschichte ist bloß Vorwand der Schrift, ihr Zweck ist der, ‘Marx herunterzureißen'” (35). Nella ‘Critica del programma di Gotha’, Marx confuta minuziosamente l’idea di Lassalle (poi mutuata da Menger nella formulazione del diritto fondamentale N. 1) che l’operaio riceve in regime socialista il frutto non ridotto o il frutto integrale del suo lavoro. Marx dimostra che dal lavoro sociale complessivo di tutta la società borghese bisogna detrarre: un fondo di riserva, un fondo per l’estensione della produzione, un fondo destinato a reintegrare il macchinario consumato, ecc. e inoltre bisogna detrarre dagli oggetti di consumo un fondo per le spese di amministrazione, per le scuole, per gli ospedali, per gli ospizi, ecc. A differenza della formula nebulosa, oscura e generica di Lassalle (e Menger dopo di lui) (“all’operaio il frutto integrale del suo lavoro”), Marx stabilisce ponderatamente come deve essere la gestione di una società socialista. In questa società, pre-comunista, l’eguale diritto non scompare, ma è ancora diritto borghese, che come ogni diritto presuppone la disuguaglianza materiale. “Il diritto può consistere soltanto, per sua natura, nell’applicazione di un’eguale misura; ma gli individui diseguali (e non sarebbero individui diversi se non fossero diseguali) sono misurabili con eguale misura solo in quanto vengono sottomessi soltanto secondo un lato ‘determinante’: per esempio in questo caso, ‘soltanto come operai’, e si vede in loro soltanto questo, prescindendo da ogni altra cosa. Inoltre, un operaio è ammogliato, l’altro no; uno ha più figli dell’altro, ecc. ecc. Supposti uguali il rendimento e quindi la partecipazione al fondo di consumo sociale, l’uno è più ricco dell’altro e così via. Per evitare tutti questi inconvenienti, il diritto, invece di essere uguale, dovrebbe essere disuguale” (36)” [Enrico Maestri, Introduzione a Friedrich Engels Karl Kautsky, ‘Il socialismo giuridico (‘Juristen-Sozialismus’), Napoli, 2015] [(34) K. Marx, ‘Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850’, in K. Marx F. Engels, Opere scelte, Roma, 1969, p. 410; (35) F. Engels e K. Kautsky, ‘Juristen-Sozialismus’, cit., p. 56 [se egli avesse scritto soltanto una storia del diritto Nr. 1, il suo scritto sarebbe passato via senza lasciare traccia. Ma questa storia è un mero pretesto di scrittura, il suo scopo è ‘abbattere Marx’]; (36) K. Marx, ‘Critica al programma di Gotha’, Roma, 1978, p. 31]
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- Articolo pubblicato:22 Dicembre 2015