“Recentemente, e sulla scia anche delle acute osservazioni di Engels e di Marx (1) alcuni studiosi inglesi hanno messo in rilievo l’aspetto peculiare dello sviluppo economico in Italia all’epoca dei grandi Comuni. Lo stesso Dobb, nei suoi Saggi, metteva in rilievo come nei comuni italiani il potere politico ed economico era accentrato nelle mani di poche famiglie aristocratiche che s’identificavano con i ceti feudali che dominavano l’entroterra, assicurando in tal modo una continuità  della società feudale in seno alla “nuova” società cittadina. Egli si riferì in particolare al controllo delle più grandi società commerciali fiorentine, (come l'”Arte” della Calimata) da parte della stessa aristocrazia fondiaria e al monopolio di alcune grandi famiglie genovesi sul commercio col Levante, rilevando inoltre come anche nei casi in cui alcuni ceti “borghesi” riuscivano ad impadronirsi delle leve di potere economico sino a sostituirsi fisicamente alla vecchia nobiltà feudale nelle campagne, non si manifestava, per questo fatto, un avvicendamento di classi: ché i nuovi proprietari finivano (per ragioni obbiettive alle quali accennavamo) per assolvere nelle campagne la stessa funzione parassitaria assunta dai vecchi ceti nobiliari, lasciando l’agricoltura nei suoi rapporti arretrati, ed orientando prevalentemente la loro attività verso la ricerca di un profitto commerciale usurario. Un altro scrittore marxista, Cristopher Hill, in un suo acuto scritto sulla guerra civile in Inghilterra, contrapponeva l’esperienza dello sviluppo capitalistico inglese con quello italiano: “L’Inghilterra non conobbe mai le potenti città libere che, sul continente, permisero ad una parte dei borghigiani di prosperare entro la società feudale, a condizione di accettare l’ordine politico feudale, e che alla lunga divennero un’ostacolo al libero sviluppo delle relazioni capitalistiche” (2)” [Bruno Trentin, ‘Su alcune caratteristiche del processo iniziale di accumulazione in Italia. II. Politica economica. VII Lezione. Problemi dell’accumulazione capitalistica in Italia, Roma, 1955] [(1) Vedi, ad esempio F. Engels, ‘La guerra dei contadini in Germania’, ed. Rinascita, p. 94 e sg., e le sue considerazioni sulla funzione della città in Germania: “La democrazia nobiliare…. era impossibile già pel fatto dell’esistenza in Germania di potenti Città. D’altro lato era anche impossibile quell’alleanza della piccola nobiltà con le città che in Inghilterra operò il trapasso dalla monarchia feudale alla monarchia costituzionale borghese”. “In Germania la vecchia nobiltà era rimasta; in Inghilterra, con la guerra delle due rose, era stata ridotta a ventotto famiglie e sostituita da una nuova nobiltà d’origine e di tendenze borghesi; in Germania era rimasta la servitù della gleba e la nobiltà aveva fonti feudali di reddito; in Inghilterra era quasi abolita e la nobiltà possedeva borghesemente; il suo reddito era la rendita borghese della terra”. Vedi anche op. cit-, p. 148 e sg.; (2) Vedi C. Hill, ‘La guerra civile inglese nell’interpretazione di Marx ed Engels, ‘Società’, 1948, anno IV]