“Gli storici hanno seguito con attenzione i progressi tecnici che hanno a poco a poco sganciato la produzione economica medievale dalla teoria degli antichi. I due principali settori in cui l’uomo ha così liberato, attraverso lo sforzo richiesto ormai ad altri più che a lui, un tempo e un’efficacia di cui ha saputo gestire l’impiego, riguardano il dominio della forza animale e quello della natura. Equipaggiare, alimentare, aggiogare, utilizzare in modo migliore cavalli, muli e buoi, ottenere, in mancanza di nuove specie addomesticate, un miglioramento delle razze attraverso incroci tra i branchi, affinare le tecniche di allevamento e quelle del trattamento del cuoio e della lana: attraverso tutto ciò si è aperta una via importante verso un’alimentazione migliore, maggiori volumi di scambi, maggiore rapidità nei lavori. Degli effetti sociali che ne derivarono a beneficio del possessori di animali da sella o da lana, i guerrieri o la Chiesa, non ci occuperemo qui; riguardo al dominio del fuoco, e agli eccezionali progressi conosciuti dalla siderurgia tra l’XI e il XIV secolo, basti considerarne le applicazioni nei campi delle armi e degli utensili. Ma è sempre l’uomo ad intervenire in questi settori: fabbro, boscaiolo, pastore, conciatore o tessitore, è lui che si affatica. Invece, il mulino ad acqua lavora per lui, e Marx aveva visto perfettamente come questo “primo macchinismo” costituisse una rottura cruciale con l’antichità; macinare il grano, spremere le olive o frantumare la corteccia degli alberi, battere il ferro, la lana o il guado non è compito dei muscoli degli schiavi. Che ancora una volta l’uso della macchina passi sotto il controllo del ricco e del padrone è un effetto sul quale non ci può essere discussione” [Robert Fossier, Dal mondo mediterraneo dell’antichità all’Europa medievale’] [(in) Valerio Castronovo, a cura, ‘Storia dell’economia mondiale. 1. Permanenze e mutamenti dall’antichità al medioevo’, Roma Bari, 1996]