“Ora, che per soddisfare bisogni occorra sempre ‘un’attività produttiva’ è cosa ovvia e indiscutibile. Ma il sostenere che l’unica attività produttiva immaginabile sia quella del lavoro salariato testimonia solo dell’incapacità di prendere atto del nuovo nel quale, nei paesi sviluppati, siamo immersi. Qui è dove ci vengono in aiuto le tesi critiche sia di Marx che di Keynes: il lavoro salariato è ‘stato’ un rapporto produttivo, cioè favorevole allo sviluppo delle capacità umane solo fintanto che ha dominato la penuria. Non appena la società ha cominciato a godere di una condizione materiale di relativa abbondanza, quel rapporto è diventato contraddittorio e ‘non può più espandersi senza determinare effetti distruttivi’. Quando Marx nei ‘Grundrisse’ sostiene che, al sopravvivere dell’abbondanza, “la produzione basata sul valore di scambio ‘crolla’” si riferisce proprio ad una situazione nella quale lo sviluppo delle capacità umane ha raggiunto un livello talmente elevato, da sfociare nella “scomparsa delle ‘differenze di classe'” (‘Il manifesto’)” [Giovanni Mazzetti, ‘Per non banalizzare le forme dei conflitti di classe, Marx e Keynes’, 2012]