“Anche le elaborazioni storiografiche più recenti, quindi, confermano nella sostanza l’analisi che Marx fa immediatamente all’indomani della sconfitta quando sulla “Neue Rheinische Zeitung” del 29 giugno contrappone alla “bella rivoluzione di febbraio, la rivoluzione della simpatia generale”, la ‘brutta’ rivoluzione di giugno che aveva osato attentare all”ordine’ borghese (il brano è ripreso da Marx nelle ‘Lotte di classe…’ cit., pp. 140-141; l’articolo è in K. Marx-F. Engels, Opere, cit., t. VII, p. 146), o quando nelle ‘Lotte di classe’ definisce il diritto al lavoro come la “prima formula goffa in cui si riassumono le esigenze rivoluzionarie del proletariato.  (…) Il diritto al lavoro è nel senso borghese un controsenso, un meschino, pio desiderio; ma dietro il diritto al lavoro sta il potere sul capitale, dietro il potere sul capitale sta l’appropriazione dei mezzi di produzione, il loro assoggettamento alla classe operaia associata, e quindi l’abolizione del lavoro salariato, del capitale e dei loro rapporti reciproci. Dietro ill ‘diritto al lavoro’ stava l’insurrezione di giugno” (Op. cit., pp. 163-164). Tuttavia, giunto a Parigi all’indomani dell’insurrezione, il 4 marzo, Marx né si occupa del movimento sindacale né si avvicina alla Società repubblicana centrale portavoce di Blanqui (su quest’ultima v. “La Voix des clubs”), ma frequenta un club rivoluzionario vicino  a Ledru-Rollin, la Società dei diritti dell’uomo (Marx com’è noto aveva allora buone relazioni con Ledru-Rollin e Flocon). Organizzata per sezioni, la Società era molto temuta dai reazionari che le attribuivano la cifra inverosimile di 30.000 uomini armati (Cfr. A. Lucas, Les clubs et les clubistes, Paris, 1851, p. 118). Sorta dalla necessità di unire tutti i democratici in vista delle elezioni, essa denuncia fin dalle prime sedute la resistenza dei fabbricanti all’applicazione del decreto delle 10 ore e fa appello alle sezioni perché si impegnino nella propaganda in provincia (i resoconti delle sedute sono pubblicati da “La Commune de Paris”, v.). Il primo intervento di Marx (il 14 marzo) verte su una questione vitale per i rivoluzionari, la richiesta al governo di rinviare le elezioni nazionali. Marx chiede che nel caso i clubs non riescano ad accordarsi, la Società presenti ugualmente un indirizzo in questo senso e promuova una manifestazione. L’accordo, come si sa, fu trovato e si ebbe la grande manifestazione del 17 marzo: era diffusa infatti la consapevolezza che nel momento in cui tutta la Francia fosse chiamata alle urne, il movimento operaio sarebbe stato sconfitto. Con il suo intervento Marx mostra di condividere l’azione dei rivoluzionari come Blanqui, Dezamy, lo stesso Cabet (v. “Les Droits de l’homme”, “L’Ami du peuple en 1848”, “Le Populaire”) che all’indomani della rivoluzione adoperano la loro influenza nei clubs e sulla stampa (anche nei cantieri, nel caso di Blanqui) per costringere il governo ad un indirizzo politico chiaro, per orientare a sinistra la nuova repubblica. Nonostante il successo della manifestazione del 17 marzo voluta in primo luogo da Blanqui, la maggior parte dei clubs aderisce al Club dei clubs fondato da Barbès la cui linea nei confronti del governo provvisorio era in questa fase di aperto sostegno. Solo Cabet e Raspail, schierandosi in difesa di Blanqui, mostrano di accorgersi che l’attacco sferrato al grande rivoluzionario il 3 aprile con il documento Taschereau (v. “Revue retrospective”) non era che il preludio dell’attacco a tutto il fronte rivoluzionario e chiudeva la fase ‘alta’ della rivoluzione. La manifestazione reazionaria del 16 aprile e la sconfitta elettorale del 4 maggio (acutamente attribuita da “La Commune de Paris” alla persistenza della vecchia amministrazione) si incaricano di riunificare il fronte rivoluzionario ormai sulla difensiva” [Mariuccia Salvati, Marx e il movimento operaio francese della II Repubblica] [(in) AA.VV., Annali. Vol. I. I periodici della biblioteca Basso (1684-1849), Issoco, Roma, 1975]