“Constatiamo, di passata, che il determinismo climatico di Engels non arriva al punto di spiegare la decadenza delle civiltà orientali con presunte variazioni del clima (come ritennero più tardi alcuni geografi ambientalisti americani), ma lascia agli ‘eventi’ della storia umana un largo margine di azione. Nel frattempo Marx comincia a vedere la questione non più soltanto nei suoi termini scientifici ma anche nei termini politici emersi in occasione del dibattito parlamentare sull’amministrazione inglese delle Indie ed arriva alla conclusione che “l’annientamento dell’industria indigena ad opera dell’Inghilterra” debba considerarsi un fatto “rivoluzionario”. Se giunge a questa conclusione è perché, prendendo le distanze dal determinismo climatico di Engels, ritiene che all’origine dello “stagnante dispotismo asiatico” non ci siano soltanto le condizioni climatiche e del suolo con i conseguenti grandi lavori pubblici come base del governo centrale e condizione prima dell’agricoltura e del commercio, ma anche un tipo di popolamento rurale disperso in piccoli centri economicamente autosufficienti perché basati sulla combinazione di agricoltura e manifattura di tipo domestico. Ambedue le circostanze – lavori per l’irrigazione assunti dal governo centrale e dispersione della popolazione in villaggi autosufficienti – sono considerate all’origine di “un ‘sistema sociale’ tutto proprio (…) il cosiddetto sistema di villaggio”. Dunque proprio perché Marx non privilegia astratti fattori ambientali può ritenere che l’annientamento, da parte del commercio inglese, della piccola industria domestica, essenziale al mantenimento dell’equilibrio economico del sistema di villaggio, può significare la dissoluzione dell’intero sistema sociale del dispotismo asiatico” [Massimo Quaini, Marxismo e geografia, 1974]