“In altre parole, Marx ripete qui l’interpretazione hegeliana del progresso, in quanto processo che si realizza attraverso l’accumularsi dei conflitti interni e che non si può liberare dai suoi “lati cattivi”. “Nello stesso momento in cui sorge la civiltà, la produzione comincia a fondarsi sull’antagonismo delle professioni, degli stati, delle classi, infine sull’antagonismo tra lavoro-accumulato e lavoro-immediato. Senza antagonismo non vi è progresso. Questa è la legge che fino ai nostri giorni la civiltà ha seguito. Fino ad oggi le forze produttive si sono sviluppate attraverso questo regime di antagonismo delle classi” (Marx, Miseria della filosofia). Da qui l’assurdità del progetto di Proudhon, il quale voleva trasformare tutti gli uomini in capitalisti, eliminando nel contempo tutti i “lati cattivi” del capitalismo: l’anarchia produttiva, l’ineguaglianza e lo sfruttamento; egli voleva dunque sopprimere gli antagonismi sociali conservando la loro condizione essenziale: eliminare il proletariato conservando la borghesia. Tutti e tre questi punti principali della critica di Marx si riducono a un solo pensiero: il processo storico possiede una propria dinamica, determinata dal processo tecnologico (“Il mulino a braccia vi darà la società col signore feudale, e il mulino a vapore vi darà la società col capitalista industriale” (Marx, Miseria della filosofia)), dinamica che si realizza attraverso la lotta di classe; ne consegue che, moralizzando, non si otterrà il sovvertimento sociale, che non si può tornare alle formazioni superate, che ‘le contraddizioni sociali non possono essere risolte eliminando una delle parti in lotta; si possono risolvere soltanto sospingendo la lotta fino alla forma estrema’, che, alla fine, avrebbe abolito entrambi i nuclei dell’antagonismo in favore di una forma sociale superiore” [Leszek Kolakowski, Nascita sviluppo dissoluzione del marxismo. Volume I. I fondatori, 1980]