“Nel suo VIII capitolo del ‘Capitale’, dedicato alla ‘Giornata lavorativa’, fornisce una documentazione estesa sulle condizioni disumane del lavoro nella società capitalistica ottocentesca. Elenca testi e studi sulle deformità provocate dal lavoro in intere generazioni di operai, sulle sofferenze corporali della popolazione operaia spesso accompagnate dalla morte precoce. L’invecchiamento precoce e la morte prematura appaiono i dati fondamentali delle indagini e dei rapporti medici citati da Marx: “lavorare a morte”, secondo quanto scrive il dott. Richardson in un articolo del 1863 riportato da Marx, rappresenta la norma di un sovraccarico di lavoro capace di arrivare intorno alle trenta ore consecutive, come dimostra il caso eclatante della crestaia Mary Anne Walkley morta a vent’anni dopo quasi ventisette ore di lavoro senza interruzione in una laboratorio malsano. E’ una vera requisitoria sulla “mortalità di classe” (che rimbalzerà nell”Ordine Nuovo’ di Gramsci, dove si denunciava animatamente il potere illimitato del proprietario all’interno della fabbrica, “potere di vita e di morte sull’operaio, sulla donna dell’operaio, sui figli dell’operaio”). Una requisitoria che prosegue nella pagine del ‘Capitale’ quando si analizza “l’enorme mortalità tra i figli degli operai nei loro primi anni di vita” utilizzando anche tabelle ufficiali sugli indici di mortalità della popolazione operaia”. (in Fabio Giovannini, La morte rossa. I marxisti e la morte, 1984) (pag 24-25)